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Centro di Psicoterapia Scaligero

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La psicologa risponde. Argomento: la separazione dei genitori.

Pubblicato il Febbraio 6, 2019 da michela pinton
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Ciao a tutti, qualche giorno fa vi ho chiesto consiglio rispetto ad alcuni temi da trattare nell’ambito di incontri con i genitori e vi ringrazio per le numerose risposte che mi sono arrivate. Dato che, tra i vari argomenti, mi avete proposto questo titolo, “gli effetti traumatici sui figli della separazione tra genitori”, vi propongo la risposta che avevo dato ad una mail di un padre preoccupato per questo motivo, come primo spunto di riflessione sull’argomento. Buona lettura.

“Sono giunto alla conclusione di una separazione con mia moglie ma il mio problema è dirlo ai figli, la più grande ha 10 anni e ha bisogno di una spiegazione. Come devo dirle questo … non so dobbiamo spiegarlo insieme o la prendo in disparte? MI CONSIGLI grazie”

Caro papà, è necessario che parli con i suoi figli con chiarezza e sincerità, nel modo più semplice che può, e spiegando loro la situazione. Se i rapporti con sua moglie lo consentono sarebbe ancora meglio se lo faceste insieme, dimostrando quindi che questa è una decisione che avete concordato insieme. Ricordi che anche se sono bambini vedono, sentono ed hanno emozioni e pensieri esattamente come noi adulti, possono capire molto più di quanto noi immaginiamo ma hanno più bisogno del nostro aiuto per gestire le situazioni difficili. Non complichi quindi la situazione inventando scuse o facendo finta che non stia succedendo niente, anche se pensa di farlo per il loro bene. Presto o tardi la verità salterebbe agli occhi e a quel punto i suoi figli potrebbero sentirsi anche traditi da un papà che non è stato sincero con loro. Se poi comunque emergessero dei problemi di adattamento al nuovo assetto familiare, sappia che può sempre contattarmi. Auguro buona fortuna a lei e ai suoi figli. Dr.ssa Michela Pinton

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La psicologa risponde. Argomento: rabbia e aggressività in età evolutiva.

Pubblicato il Gennaio 16, 2019 da michela pinton
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bambino che piange

In vista della serata del 24 gennaio in cui parlerò della RABBIA E AGGRESSIVITA’ in età evolutiva presso il Centro Clinico Verona, per restare in argomento, pubblico una mail che ho ricevuto qualche tempo fa e la mia relativa risposta.

“Salve, temo che mio figlio di 5 anni soffra di un disturbo comportamentale. Dalla nascita del suo fratellino (2 anni fa) è diventato molto geloso, irascibile, ossessivo. A volte mi guarda di traverso e, se gli sorrido, mi urla che non devo ridere (come se lo stessi prendendo in giro). I suoi amichetti gli si avvicinano e lui sembra non voler/poter ricambiare l’affetto… Soprattutto è molto irascibile, fa capricci per niente (vere crisi isteriche), non credo sia tutto imputabile alla gelosia nei confronti del fratello, verso il quale mostra pertanto affetto (si preoccupa per lui se piange). Le maestre mi hanno solo parlato di “capricci e litigiosità” e nient’altro. A livello linguistico non ci sono grossi problemi, a volte balbetta un pò, e si infuria quando non riesce a esprimersi o ha l’impressione che non lo capiamo. Inoltre provoca continuamente, come se cercasse continue occasioni di scontro, specie con me. Il mio istinto di madre mi consiglia di approfondire, mi appello prima a Lei per avere suggerimenti ulteriori. Grazie.”

Gentile signora,
mi preme prima di tutto tranquillizzarla rispetto all’ipotesi che suo figlio di 5 anni possa avere un disturbo del comportamento. Davvero è prematuro parlare un simile tipo di disturbo, o di disturbo in generale, per vari motivi: l’età ancora molto bassa del bambino, i pochi elementi che riporta nella sua mail e il fatto che non ha ancora accertato con un esperto le reali difficoltà di suo figlio. Sono molte le cose che andrebbero indagate rispetto a questo problema. Il comportamento è l’espressione manifesta di pensieri ed emozioni che suo figlio ha e su queste si dovrebbe interrogare. Spesso, indagati questi aspetti, poi si trova il modo giusto per affrontare il problema. Nella speranza di aiutarla, le riporterò alcuni spunti di riflessione su cui ci potremmo soffermare, partendo dalla sua mail. Mi pare abbastanza sicura nell’indicare l’esordio dei problemi con suo figlio a due anni fa, quando è nato il fratellino. Pensi comunque se ci sono stati altri cambiamenti in concomitanza all’evento, che possono aver inciso. Ipotizzando che la nascita del fratellino, sia l’unico fattore scatenante, bisogna riflettere sul fatto che è abbastanza naturale che il fratello maggiore entri in crisi in tali circostanze. L’importante è come lo si prepara e come si affronta tutti insieme questa fase. Per i bambini non è facile capire che l’affetto dei genitori non cambia. Tutto ciò che vedono è uno spostamento (peraltro del tutto naturale) delle attenzioni da loro stessi a qualcun altro e ciò provoca rabbia, dolore, paura a seconda dei casi. Sta ai genitori stessi saper cogliere questa difficoltà e con pazienza e con dimostrazioni pratiche mettere in evidenza che il loro affetto non cambia, non si divide ma si moltiplica in una famiglia numerosa. In pratica suo figlio non ha perso l’affetto di mamma e papà ma ha guadagnato quello del fratellino. Un suggerimento che posso darle nell’immediato è questo: cerchi di ricavare un tempo ed uno spazio da dividere solo ed esclusivamente con lui senza il fratellino di mezzo. Qualcosa di divertente da fare insieme almeno una volta a settimana, senza altre persone, solo voi. Ciò gli dimostrerà che la mamma ha ancora tempo e spazio per lui.
Per quanto riguarda poi il balbettare, al momento mi sembra un fattore emotivo. L’incapacità di gestire ed esprimere emozioni troppo forti può portare i bambini ad una difficoltà nell’espressione, ma spesso è solo un fatto temporaneo. Un po’ di alfabetizzazione emotiva potrebbe tornare utile.
Concludendo, penso che se deciderà di rivolgersi ad un professionista, ne trarrà di sicuro dei vantaggi per due ragioni: prima di tutto sono già due anni che queste difficoltà con suo figlio si trascinano e da sola, mi sembra di capire, non è ancora riuscita ad inquadrare bene il problema e a porvi rimedio, in secondo luogo uno psicologo l’aiuterà proprio in questo e le darà gli strumenti necessari per uscire da questa situazione. Se intraprenderà questo percorso, si ricordi di coinvolgere anche il suo compagno.
Le auguro di risolvere presto le sue difficoltà. Se avesse bisogno di ulteriori informazioni può continuare a scrivere.
Dr.ssa Michela Pinton

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I 6 e + motivi per cui gli adolescenti non accedono ai servizi a loro dedicati. (Parte 2)

Pubblicato il Gennaio 14, 2019 da michela pinton
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adolescenti

Nell’ambito del Convegno “I giovani e i disagi della sessualità” di qualche mese fa, un medico di base ha elencato le difficoltà che incontra quotidianamente nel tentare di occuparsi della fascia di età adolescenziale e mi sono resa conto che sono circa le stesse difficoltà che incontro io come psicoterapeuta.

Nel mio post precedente ho elencato i motivi per cui difficilmente un adolescente accede ai servizi a lui dedicati. Oggi proverò a dare qualche informazione e qualche spunto di riflessione nel tentativo di abbattere qualcuno di quegli ostacoli di cui sopra.

Mi rivolgo proprio a te ragazzo o ragazza, nella speranza che riuscirai a leggermi:

  1. ricordati che puoi chiedere un colloquio privato con un medico o con uno psicologo/psicoterapeuta, senza la presenza dei tuoi genitori. I tuoi genitori devono essere informati della tua scelta ma non dei contenuti del colloquio. Hai diritto come gli adulti ad essere tutelato per la tua privacy e ad essere informato sullo stato della tua salute. Questa garanzia ti dovrebbe consentire di aprirti e parlare liberamente di tutto ciò che ti interessa o ti preoccupa;
  2. è vero che puoi avere difficoltà a raggiungere il mio studio, specie se abiti lontano e se i tuoi genitori non sono sempre disponibili ad accompagnarti ma possiamo trovare insieme il momento migliore per vederci ed usare i mezzi pubblici, la bici o il motorino può essere un’occasione per crescere in autonomia e indipendenza;
  3. tu sei un ragazzo/a e io un’adulta e quindi potremmo avere gusti e modi di pensare diversi ma credo che dal confronto possa sempre nascere qualcosa di buono e che si possa imparare gli uni dagli altri, l’importante è tenere aperta la nostra mente. Io cercherò di farlo sempre con te, così come cerco sempre di tenermi aggiornata sugli interessi e sulle mode del momento di voi ragazzi;
  4. cercherò anche di parlare la tua lingua, di farmi comprendere da te, evitando termini tecnici ma se mi sfuggisse qualcosa puoi sempre segnalarmelo e chiedermi una spiegazione. Sarò sempre disponibile a spiegarmi meglio;
  5. lo so che alla tua età la vita corre ai 100 all’ora e vorresti risolvere qualunque tuo problema in pochissimo tempo, magari in una sola seduta. Credimi che vorrei poterlo fare ma non ho la bacchetta magica e non leggo nel pensiero. Io cercherò di fare il meglio che posso con gli strumenti che ho ma sarà molto utile il tuo aiuto. Più riusciremo a parlare, a comprenderci e a lavorare in sinergia, prima troveremo una soluzione. La tua collaborazione è quindi fondamentale;
  6. i costi dei colloqui con me non sono a carico tuo ma dei tuoi genitori e quindi entrambi dipendiamo dalle loro possibilità e disponibilità. Ciò significa che entrambi dovremmo impegnarci per sfruttare al meglio le risorse e il tempo che abbiamo a disposizione e in caso di particolari problemi economici sono sempre disponibile a cercare un punto d’incontro;
  7. se posso convenire con te che un colloquio con uno psicologo può indicare la presenza di un problema, questo non significa che si tratti necessariamente di qualcosa di grave. Ho bisogno di vederti e di parlare con te per capire se un problema esiste davvero o è solo un fase di passaggio un po’ complicata. E se un problema c’è, è importante capire che significato gli dai tu. Non è che forse lo ingigantisci un po’ questo problema? Non è che hai solo paura di essere giudicato? E se il giudizio fosse solo nella tua testa? Se credessi tu stesso di avere un grave problema, qualcosa che non si può risolvere e ne avessi così tanta paura da negarlo e rifiutare di parlarne nell’illusione che scompaia da solo?

Chiudo questo post lasciandoti riflettere su queste ultime domande e se tu o chi ti sta vicino volesse chiedermi qualcosa, sappi che lo puoi fare sia in privato che scrivendo su questa pagina. Cercherò di rispondere nel più breve tempo possibile. Aggiungo solo un’ultima considerazione. Se pensi di chiedere aiuto agli amici, prima di tutto affida le tue preoccupazioni solo ai veri amici e poi ricordati che gli amici che hai probabilmente sono ragazzi della tua età o giù di lì, che possono ascoltarti, starti vicino e a loro modo sostenerti, ma che possono anche non sapere come aiutarti nel modo migliore perché non hanno le conoscenze e l’esperienza che ha un professionista. Quindi se pensi di avere un problema ed entro un certo tempo da solo o con gli amici non ne vieni fuori prova a pensare ad un’alternativa. Le persone che possono darti una mano ci sono. Io sono qua!

 

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I 6 e + motivi per cui gli adolescenti non accedono ai servizi a loro dedicati. (Parte 1)

Pubblicato il Gennaio 9, 2019 da michela pinton
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adolescenti

Nell’ambito del Convegno “I giovani e i disagi della sessualità” di qualche mese fa, un medico di base ha elencato le difficoltà che incontra quotidianamente nel tentare di occuparsi della fascia di età adolescenziale e mi sono resa conto che sono circa le stesse difficoltà che incontro io come psicoterapeuta.

I problemi di salute degli adolescenti che possono richiedere l’intervento sia di medici che degli psicoterapeuti sono i più diversi perché si spazia dai problemi d’ansia, alla depressione (in alcuni casi con rischio suicidario), ai disturbi alimentari, all’assunzione e abuso di sostanze come alcol, fumo e droghe, a fenomeni come la dipendenza da internet, la dipendenza dal gioco d’azzardo, il bullismo e molti altri problemi ancora. Insomma i rischi che corre un adolescente sono molti, soprattutto se cade in uno di questi problemi e non riesce ad accedere ad interventi e cure adeguate.

I motivi per cui gli adolescenti accedono con fatica ai servizi a loro dedicati sono diversi:

  1. non credono di essere tutelati dal punto di vista della privacy perché vengono accompagnati dai genitori e non si sentono quindi liberi di comunicare tutto ciò che li riguarda;
  2. hanno spesso difficoltà logistiche per poter arrivare da soli nello studio del professionista;
  3. esiste un gap generazionale tra adolescente e professionista che può essere vissuto come un ostacolo ad una reale comprensione scevra dal giudizio;
  4. a volte i professionisti tendono ad usare un linguaggio tecnico, poco comprensibile e distante dal linguaggio degli adolescenti;
  5. cercano le informazioni sui loro problemi nella rete;
  6. hanno difficoltà a mantenere nel tempo un eventuale percorso terapeutico.

Come psicoterapeuta, a questo elenco di difficoltà, posso aggiungere anche il problema economico, visto che gli adolescenti dipendono ancora economicamente dai genitori e, ancora una volta, i pregiudizi. Spesso mi capita di essere contattata da genitori e/o insegnanti che rilevano un problema nel proprio figlio o alunno adolescente, il quale però si rifiuta categoricamente di incontrarmi e parlare con me. Spesso si comportano in questo modo perché sono convinti di non avere un problema e il solo fatto di accedere al mio studio significherebbe il contrario. In altri casi, magari concordano sul fatto di avere qualche problema ma sono convinti di potersela cavare da soli o con l’aiuto degli amici.

Potete constatare da soli che gli ostacoli nel trattare gli adolescenti sono tanti e difficili da superare, anche se questa fascia d’età forse è quella che corre maggiori rischi e ha maggior bisogno di aiuto. Per questo motivo, nel mio prossimo post proverò a dare qualche informazione e qualche spunto di riflessione nel tentativo di abbattere qualcuno di quegli ostacoli di cui sopra.

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Pregiudizio 10: Ah….sei uno psicologo!

Pubblicato il Dicembre 1, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Chiudiamo in bellezza con la saga dei pregiudizi sullo psicologo. Spero di strapparvi qualche risata con un paio di aneddoti che mi sono realmente accaduti.

Aneddoto 1: “Ah…sei una psicologa?! …..Allora mi stai analizzando?! (con tono tra l’ironico, l’incuriosito ma anche l’intimorito) ……Che cosa hai capito di me???”  Secondo voi queste domande dove e quando mi vengono poste??? Di solito capita quando sono a cena fuori, ad un aperitivo, ad un concerto o con gli amici in qualche locale di sera. Capita di fare qualche conoscenza nuova, si scambiano i primi convenevoli tra cui “che lavoro fai?” e BAM, arriva la sequenza di domande di cui sopra. Ora la faccio io una domanda: “Ma secondo voi, ad una cena, ad un aperitivo, ad uno spettacolo, ad un concerto, io non ho niente di meglio da fare che stare ad analizzare tutti i presenti??? Chi fa lo psicologo, lo fa 24 ore al giorno, ovunque, comunque e con chiunque??? Se pensate di sì, mi spiegate per quale motivo? Perché non dovrei godermi una serata di relax ed evasione come tutti e stare invece impegnata a scrutare la mente dei presenti?” Vedete il mio non è un hobby, è un lavoro e non è neanche un lavoro facile. La mia giornata lavorativa consiste nel parlare con diverse persone che hanno dei problemi, piccoli o grandi che siano, ed essere capace di sostenerle, guidarle, farmi carico dei loro problemi. E’ un lavoro che certamente mi appassiona, bellissimo e molto interessante perché mi permette di imparare tante cose e di aiutare veramente gli altri ma dopo una giornata così la mia mente ha bisogno di evadere e ricaricarsi. Fa parte dell’autodisciplina dello psicologo sapere quando e quanto spendersi per gli altri e quando staccare. Saper dosare le proprie energie è importante per se stessi ma anche per gli altri, per far bene il proprio lavoro. Ecco perché nel tempo libero smetto i panni della psicologa e sono solo me stessa, ecco perché di solito rispondo “mi spiace ma il mio cervello adesso è spento”. E pensate che alcuni miei colleghi non dicono neanche che lavoro fanno pur di evitare certe domande!

Aneddoto 2: “Ah…sei una psicologa?! Sai stanotte ho fatto un sogno. Mi dici che cosa significa?”. In questi casi di solito mi sento in grande imbarazzo perché non so mai come spiegare che non interpreto i sogni. Quando ho provato a dire che nella psicologia ci sono diversi approcci e che non tutti usano l’interpretazione dei sogni e così neanche io, la faccia di chi mi stava di fronte esprimeva una sorta di delusione mista ad incredulità. A volte ho avuto l’impressione che qualcuno se la prendesse un po’ con me, convinto che non lo volessi ascoltare. Non è così, è che proprio l’interpretazione dei sogni non è una mia competenza. Ci sono miei colleghi che la sanno fare, gli psicoanalisti sono molto ferrati in materia di sogni. Io invece mi occupo di quello che le persone fanno, pensano e sentono da svegli. Si parla appunto di approcci diversi della stessa professione. Ciò non significa che non creda che i sogni siano un aspetto interessante della mente umana, che in qualche modo mi piace approfondire e studiare, solo che nella mia pratica lavorativa di solito non sono contemplati. Mi spiace se ciò delude qualcuno, comunque ricordare questo aneddoto mi ha fatto venire voglia di andarmi a rileggere “L’interpretazioni dei sogni” di Freud!

Tra il serio e il faceto siamo quindi giunti alla fine della saga dei pregiudizi sullo psicologo. Spero che questi miei scritti siano serviti a chiarire meglio gli aspetti principali di questa professione. Ma non è finita qui. La prossima settimana si riparte con un nuovo argomento. Stay tuned!

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Pregiudizio 9: Perchè rivolgersi ad uno psicologo posso parlare con un amico?

Pubblicato il Novembre 28, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Siamo quasi giunti alla fine della saga dei pregiudizi e bisogna ammettere che capita di sentire anche questo. Se fosse vero che un amico può risolvere ogni nostro problema, la professione di psicologo non dovrebbe esistere perché la maggioranza delle persone ha almeno un amico. Evidentemente avere degli amici non è una condizione sufficiente per risolvere i propri problemi. Scopriamo perché.

Secondo voi, le persone che oggi si rivolgono ad uno psicologo non hanno amici che li possano aiutare? In attesa della vostra risposta, vi posso dire che le persone che conosco hanno amici, anche i miei pazienti hanno degli amici. Se la maggioranza delle persone ha degli amici con cui parlare, allora a cosa servono gli psicologi? Immagino che un’obiezione potrebbe essere: “può succedere che una persona non se la senta di confidarsi con un amico e chiedere aiuto per un suo problema”. Se le cose stanno così, significa che ci sono dei problemi che le persone non si sentono di poter confidare agli amici o per i quali ritengono che il parere di un amico non sia sufficiente. Se questo accade forse significa che rivolgersi ad uno psicologo è diverso che rivolgersi a chiunque altro.

Che cosa allora differenzia lo psicologo dall’amico?

Prima di tutto le sue conoscenze rispetto al funzionamento della mente e rispetto alla psicopatologia (disturbi mentali). Ho già scritto più volte sul lungo percorso formativo degli psicologi. Questo tipo di conoscenze specifiche non sono comuni a tutti, ma le possiede solo chi ha studiato la materia.

Secondo punto, non meno importante, lo psicologo non ha alcun legame di tipo affettivo con il paziente a differenza dell’amico. Questa distanza relazionale permette allo psicologo una visione più obiettiva e priva di giudizi sul paziente e sul suo problema e gli dà la possibilità di porsi come guida sicura e autorevole. I veri amici, quelli che parlano di tutto e sono sempre vicini, sono legati da un profondo affetto che li porta a stare sempre dalla stessa parte e quindi a vedere le cose dallo stesso punto di vista. Anche quando hanno opinioni diverse, alla fine stanno dalla stessa parte perché il legame affettivo è più forte di qualsiasi divergenza. Per il bene dell’altro o per paura di rovinare il rapporto ci si schiera sempre dalla stessa parte. Questo comportamento però tende a ridurre le prospettive e diventa più difficile trovare delle soluzioni. Ma in fondo è giusto così, è giusto che l’amico faccia l’amico, che sia colui che ti sta vicino nel bene e nel male, colui che ti sostiene e sta dalla tua parte sempre.

Nella mia vita quotidiana verifico ogni giorno la differenza tra l’essere amica e l’essere una psicologa. Il mio modo di comportarmi è molto diverso in un caso e nell’altro. Quello che faccio nella mia professione ho provato a spiegarlo in alcuni post precedenti. Nella mia vita privata può capitare che mi venga chiesto un consiglio o un parere più professionale, ma anche se ci provo, di solito non funziona mai: in alcuni casi perché le mie emozioni e i miei sentimenti non mi permettono di essere obiettiva e in altri casi perché come amica il mio parere non ha la stessa valenza. Questo spiega perché esiste un codice etico per gli psicologi secondo cui non ci si può occupare professionalmente di parenti e/o persone che si conoscono personalmente. Regola saggia, che ne pensate?

Mi farà piacere se qualcuno vorrà argomentare questo post o porre delle domande e nel frattempo saluto tutti e vi rimando al 10° e ultimo pregiudizio.

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Pregiudizio 8: Lo psicologo costa troppo!

Pubblicato il Novembre 24, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Questo è un pregiudizio che, ahimè, viene mosso alla categoria degli psicologi ancora con frequenza. Se si pensa che lo psicologo costi troppo significa che si hanno in mente dei termini di paragone con altre professioni e allora facciamoli questi confronti e verifichiamo come stanno realmente le cose.

Si diventa psicologi abilitati alla professione con una laurea quinquennale, un anno di tirocinio post lauream e un esame di stato. Più o meno lo stesso tipo di percorso che sostengono altri professionisti come i medici, gli ingegneri e gli avvocati.  Se lo desidera, uno psicologo può proseguire la sua formazione attraverso corsi, master e scuole di specializzazione che durano da 1 a 4 anni dopo la laurea. Quindi uno psicologo è un professionista con un percorso formativo che varia tra i 5 e i 10 anni e che si occupa di servizi alla persona, al gruppo o alla comunità. E’ quindi un professionista che si può paragonare alle figure professionali di cui sopra. Vogliamo fare quindi un confronto di costi tra un medico, un dentista, un avvocato, un commercialista, un notaio, un ingegnere e uno psicologo? Ovviamente questo tipo di confronto bisogna farlo in ambito privato, perché nel pubblico il sistema di retribuzione è diverso.

A questo punto mi trovo un attimo in impasse perché bisognerebbe capire da chi afferma che lo psicologo costa troppo, quanto ha pagato una seduta e se effettivamente gli è costata di più rispetto ad un colloquio con un altro dei professionisti citati. Spero che qualcuno vorrà raccontare la sua esperienza, ma in linea di massima ho voluto fare questi paragoni perché credo che il punto sia un altro. Ho l’impressione che a livello pubblico la professione dello psicologo sia ancora considerata in qualche modo inferiore rispetto ad esempio ad un medico o ad un avvocato e che per questo motivo si reputi che dovrebbe essere pagato di meno. Eppure non ne capisco il motivo visto che gli anni di studio, il livello di conoscenze e competenze acquisite e l’esperienza sono confrontabili nei diversi lavori, ciò che cambia è solo l’ambito. Mi viene inoltre il dubbio che questa convinzione si leghi al fatto che lo psicologo non è ancora considerato come una figura necessaria per la salute e il benessere delle persone. Di questo aspetto in particolare ho già scritto in un mio precedente post sul ruolo dello psicologo, che potete andare a consultare.

Per fare infine un po’ di chiarezza su questo argomento posso precisare che i prezzi di una seduta con uno psicologo sono variabili per tanti motivi ma in alcuni casi si tratta di cifre assolutamente abbordabili mentre in altri superiori. Tali differenze sono dovute ad una serie di fattori che provo ad elencarvi: zona in cui si eroga il servizio (ci sono differenze per esempio tra nord e sud Italia e tra città e paesi di provincia), psicologo o psicoterapeuta (il secondo ha un livello di formazione maggiore e maggiori competenze per cui può avere un tariffario più alto), anni di esperienza (chi lavora da più tempo, di solito, ha un tariffario maggiore rispetto a chi ha appena cominciato a lavorare), grado di riconoscimento da parte del pubblico (chi viene riconosciuto come più esperto in un certo ambito può avere un tariffario più alto), tipo di prestazione richiesta (una semplice consulenza può avere costi diversi da una terapia) e molti altri fattori ancora. Aggiungo poi che forse non tutti sanno che gli psicologi, appartenendo ad un Ordine, sono regolati rispetto al loro tariffario e che è possibile consultarlo sui siti internet. Per il Veneto per esempio il sito in cui potete trovare queste informazioni è: www.ordinepsicologiveneto.it. Penso che la possibilità di accedere liberamente a questa informazione dipanerà ogni dubbio perché ognuno potrà verificare se la cifra che gli è stata richiesta è in linea che la regolamentazione vigente.

Io credo che se consulterete il tariffario in vigore avrete una gradita sorpresa e forse vi ricrederete sulla categoria degli psicologi. A presto con un altro pregiudizio e buon week end!

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Pregiudizio 7: la psicoterapia dura troppo!

Pubblicato il Novembre 21, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Questo è forse l’unico pregiudizio che viene mosso alla mia categoria professionale che in parte capisco e accetto. Bisogna ammettere che in Italia, per molti anni, si è sentito parlare solo di terapie di lunghissima durata, a volte addirittura decennale o ventennale. Ma è così anche oggi???

E’ assolutamente vero che esistono percorsi psicoterapeutici che si protraggono per molto tempo (di solito fanno riferimento ad un particolare approccio), ma è anche vero che, nonostante il ritardo rispetto ad altri paesi, finalmente anche in Italia sono riconosciuti e stanno prendendo sempre più piede anche altri modelli, di ben altra durata temporale. Probabilmente ciò accade anche in virtù del cambiamento dei tempi e delle diverse necessità da parte della società. Non starò ora a farvi l’elenco di tutti gli approcci psicoterapeutici e delle loro tempistiche perché, come al solito, preferisco parlare solo di ciò che conosco direttamente e applico nel mio lavoro.

Siccome mi rifaccio al modello teorico della psicoterapia cognitivo comportamentale, posso affermare che secondo questo approccio un percorso terapeutico può durare tra i 4 e i 12 mesi a seconda del caso. Si tratta quindi di un percorso a breve termine e ciò è possibile perché terapeuta e paziente collaborano per la risoluzione di un problema presentato qui ed ora. I colloqui sono solitamente a cadenza settimanale e più che la durata della terapia, aspetti importanti sono la costanza e la continuità. Ovviamente non tutti i casi sono uguali e quando il livello di gravità è alto il tempo di cura può prolungarsi oltre l’anno. In questi casi di solito si integrano anche altre forme di trattamento e la farmacoterapia, se necessari.

Con queste poche e semplici informazioni spero che il punto di vista sulla durata della psicoterapia posso cambiare. Prima di salutarvi però ci terrei a sottolineare una cosa: tempi brevi di psicoterapia sono possibili ma un’unica seduta NO! Lo dico perché capitano pazienti che chiedono un unico colloquio nella speranza di avere una soluzione immediata ai loro problemi, ma ciò non è possibile. Noi psicologi e psicoterapeuti non siamo maghi, non leggiamo la mente, non abbiamo bacchette magiche o sfere di cristallo per risolvere in un colpo solo i problemi della gente. Se avessimo in tasca la soluzione di ogni problema sarebbe una fortuna per tutti e il mondo sarebbe diverso, ma questi sono solo sogni ed illusioni. Quello che possiamo realisticamente fare è mettere a disposizione le nostre conoscenze per aiutare le persone a vedere i problemi da un altro punto divista e trovare da sé delle soluzioni oltre che migliorare il benessere e l’equilibrio interiore. Il massimo che possiamo fare in una sola seduta è inquadrare molto bene il problema che ci è stato esposto dal paziente e descriverlo in maniera puntuale in modo che possa avere una visione più chiara di sé e della sua situazione da cui poter partire. Il percorso terapeutico se necessario viene dopo e richiede per forza più tempo. Le “terapie fast food” non esistono, tenetelo a mente!

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Pregiudizio 6: E’ impossibile risolvere i problemi concreti solo parlando!

Pubblicato il Novembre 14, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Interessante affermazione questa! Chi lo afferma dovrebbe poi aggiungere come fa a risolvere un problema. Secondo me le persone che devono affrontare un problema si dividono in due categorie: quelle che contano solo su loro stesse e quelle che chiedono aiuto. E come si chiede aiuto? Comunicando. E come si risponde ad una richiesta di aiuto? Sempre comunicando. Questo succede nella normalità della vita quotidiana di chiunque e questo è quello che fanno anche gli psicologi: danno un aiuto usando come strumento principale il colloquio.

Forse può tornare utile spiegare brevemente in cosa consiste il colloquio con uno psicologo. La differenza tra rivolgersi ad un parente/amico ed uno psicologo consiste nel fatto che quest’ultimo è formato per utilizzare il colloquio come strumento di indagine e di valutazione finalizzato a raccogliere tutte le informazioni utili per comprendere e aiutare una persona. Lo psicologo ha competenze teoriche e esperienza per usare il colloquio come forma di conoscenza dell’altro. Pone tutta la sua attenzione con un ascolto privo di giudizio e con sincera partecipazione su ciò che il soggetto dice, su come lo dice, e sulle modalità relazionali. Dopo aver raccolto tutte le informazioni può formulare delle ipotesi sulla persona e sul suo problema, integrando queste informazioni con le conoscenze tratte dall’esperienza e dalle conoscenze teoriche. La finalità sarà quella di giungere ad una migliore comprensione dei bisogni e delle motivazioni della persona e del loro possibile collegamento con il problema presentato.

Insomma se normalmente ci si affida a parenti e amici per chiedere un aiuto parlando con loro perché non provare a chiedere un aiuto ad una persona più esperta? E non mi dilungo sui vantaggi di poter parlare con una persona non coinvolta a livello relazionale e quindi più obiettiva e priva di pregiudizi. Aggiungo solo una postilla se qualcuno avesse ancora qualche dubbio.

La psicoterapia cognitivo comportamentale, modello a cui mi riferisco nella pratica professionale, è attualmente considerata una modalità di trattamento dimostrata valida ed efficace dal punto di vista scientifico da una considerevole e consolidata mole di ricerche empiriche (evidence-based medicine) di carattere internazionale. La psicoterapia cognitivo comportamentale, per la sua rigorosa base empirica, domina le linee guida internazionali per i trattamenti psicosociali ed è il trattamento di prima linea per molti disturbi, come raccomandato dalle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence e dell’American Psychological Association.

Se avete domande o riflessioni da aggiungere a questo mio scritto, non esitate a postare altrimenti ci si ritrova per il prossimo articolo. Buona serata.

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Cos’è l’empatia?

Pubblicato il Novembre 10, 2018 da michela pinton
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Nel mio ultimo post ho nominato l’empatia come una delle capacità che alberga nei bravi psicologi. Per capire meglio di cosa si tratta guardate e ascoltate attentamente questo simpatico cartone animato! A presto con un altro argomento.

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