I 5 FALSI MITI SULL’ANSIA (Part. 1)

Salve a tutti,

come sapete il tema principale dei video che propongo è l’ansia e oggi vorrei parlarvi dei falsi miti che circolano proprio su questa emozione. Oggi tratteremo i primi due. Che ne dite? Proviamo a sfatarli insieme!

Tante volte vi ho descritto l’ansia come un’emozione comune e naturale, ma, dato il suo tono edonico spiacevole, spesso è circondata da falsi miti che possono ostacolare la comprensione e la corretta gestione dell’emozione stessa. È fondamentale sfatare queste credenze errate per imparare ad accettare l’ansia e promuovere il benessere psicologico.

Riporto di seguito i falsi miti più comuni:

1. Gli attacchi di panico possono portare alla perdita di controllo o alla pazzia.

Diversi studi dimostrano che queste situazioni sono estremamente improbabili; le persone in preda a un attacco di panico sono in grado di mantenere il controllo delle loro azioni e pensieri.

2. Gli attacchi di panico possono portare ad un attacco di cuore o ad un malore.

Chi ha un attacco di panico può sentire dolore o costrizione al torace e difficoltà a respirare. Questi sintomi sono simili ma non identici a quelli dell’infarto e possono avvenire a riposo mentre nell’infarto avvengono dopo uno sforzo. Nell’attacco di panico inoltre aumenta solo la frequenza del battito ma non ci sono alterazioni dell’attività elettrica del cuore. Alcune persone pensano invece di svenire ma ciò non è possibile perché durante l’attacco di panico il nostro organismo è iperattivato e sotto il controllo del sistema nervoso simpatico. Lo svenimento invece accade in seguito all’attivazione del sistema nervoso parasimpatico.

Per oggi mi fermo ai primi 2 miti ma vi parlerò ancora di ansia e dei 3 miti restanti nel mio prossimo video. A presto e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

PERCHE’ LE PERSONE RIMUNGINANO? (Part 3)

Salve a tutti,

continuo a parlarvi di disturbi d’ansia e di rimuginio. Oggi cerchiamo di capire perché le persone rimuginano.

Facciamo una premessa e parliamo di metacognizione. Il termine metacognizione significa letteralmente “oltre la cognizione”, ed è usato per indicare il pensiero sul pensiero. La metacognizione rappresenta la conoscenza e consapevolezza del funzionamento della propria mente. La metacognizione indica quindi un tipo di autoriflessività sul fenomeno cognitivo, attuabile grazie alla possibilità di distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali. Nella prospettiva della Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) (Semerari et al., 2008; Carcione et al., 2010; Dimaggio et al., 2013), la metacognizione può essere definita come un insieme di abilità che consentono all’individuo di:

  • identificare e attribuire stati mentali a sè e agli altri, sulla base delle espressioni facciali, degli stati somatici, dei comportamenti e delle azioni;
  • pensare, riflettere e ragionare sugli stati mentali propri e altrui;
  • utilizzare le conoscenze e le riflessioni sui propri ed altrui stati mentali per prendere decisioni, risolvere problemi o conflitti psicologici e interpersonali e, infine, padroneggiare la sofferenza soggettiva.

Rispetto al rimuginio le persone tendono a sviluppare delle “credenze metacognitive” con cui spiegano a loro stesse la propria tendenza a rimuginare. Vediamo alcuni esempi.

Credenza 1: le persone possono convincersi che rimuginare sia utile, che possa servire per risolvere una situazione problematica o per anticiparne le conseguenze negative facendoci sentire più pronti.

Credenza 2: le persone possono essere convinte che non sia possibile fermare il rimuginio, vivendolo come una sorta di automatismo al di fuori del proprio controllo. In questo caso il rimuginio è percepito come un processo automatico, incontrollabile, dannoso al punto che potrebbe, per alcuni, portare alla pazzia.

Secondo A. Wells (psicologo) il rimuginio è tanto più grave e difficile da eliminare quanto più la persona pensa che rimuginare sia utile.

Chiaramente queste credenze disfunzionali legate all’utilità del rimuginio mantengono l’individuo in una condizione di ansia e in una falsa percezione di risoluzione del problema stesso (Sassaroli & Ruggiero, 2003).

Con questo post concludo l’argomento rimuginio ma continuerò a parlarvi di ansia nei miei prossimi video. A presto e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

RIMUGINIO: QUALI SONO LE CAUSE?

Salve a tutti,

in relazione ai disturbi d’ansia torno a parlarvi del rimuginio e dei fattori che possono causarlo.

Le cause del rimuginio possono variare da fattori genetici a esperienze di vita stressanti o traumi passati. Inoltre il rimuginio può essere alimentato da una scarsa regolazione emotiva e da una percezione distorta delle minacce.

Un fattore però particolarmente predisponente e su cui è importante porre l’attenzione è lo stile parentale e soprattutto gli stili di attaccamento insicuri.

Non si tratta di un rapporto di causa effetto ma di una correlazione secondo cui un genitore iperprotettivo può portare all’educazione di un figlio rimuginatore.

Ci sono casi in cui il genitore insegna al bambino ad essere eccessivamente preoccupato riguardo ciò che di negativo può accadere in futuro o come conseguenza delle proprie scelte.

In altri casi può capitare che un genitore faccia scelte al posto del bambino riguardo la sua vita non permettendogli di allenarsi ad esplorare, di fare scelte e di sbagliare. Bisogna però tener conto che imparare a sbagliare è fondamentale per costruire personali criteri decisionali ed è molto utile che avvenga in un periodo di vita in cui si è comunque tutelati dall’azione riparativa e di cura dei genitori che possono limitare i danni. Un genitore iperprotettivo può essere quindi un ostacolo allo sviluppo di decisioni autonome e di fronteggiamento dei problemi. Il bambino impara a non agire e a rimuginare su una molteplicità di ipotetiche alternative piuttosto che tentare. Si crea anche un effetto indiretto che favorisce lo sviluppo di credenze metacognitive non adattive e non realistiche, associate all’attivazione del rimuginio e all’aumento di ansia.

Per oggi mi fermo qui ma credo che tornerò ancora su questo argomento. A presto allora e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

IL RIMUGINIO

Salve a tutti,

oggi vi parlo di un fenomeno psicologico particolare che spesso si lega all’ansia: il rimuginio mentale.

Il rimuginio o worry è un’attività cognitiva caratterizzata da pensieri analitici, ripetitivi, pervasivi, di tipo verbale e astratto, in molti casi seguito da una focalizzazione visiva di immagini. Esso si distingue per la sua negatività perché tende a mantenere e amplificare stati emotivi negativi e incontrollabilità. Il contenuto del rimuginio riguarda solitamente pensieri catastrofici e preoccupazioni future, senza riuscire a trovare soluzioni pratiche alle situazioni o problemi che ci si trova ad affrontare.

Il rimuginio è un’esperienza comune a tutti e può manifestarsi in vari contesti. Tende a catturare l’attenzione del soggetto che si chiude nella sua mente, si isola nei pensieri e si allontana da ciò che lo circonda. Il rimuginio impedisce di andare oltre un brutto pensiero o una sensazione spiacevole, perchè quando si inizia a rimuginare è difficile smettere.

Il rimuginio ha mostrato di avere un impatto fondamentale nel sostenere e aggravare molti disturbi psicologici come ad esempio i disturbi d’ansia. Il rimuginio è vissuto in questi casi come una modalità di fronteggiamento dell’ansia, generata dalla percezione di situazioni identificate come minacciose, pericolose, incerte e difficili da gestire; quindi rimuginare sulla situazione temuta ha lo scopo di prevenirla e controllarla. Coloro che rimuginano si percepiscono deboli, fragili, insicuri, spaventati, costantemente soggiogati dalla pericolosità del futuro e poco capaci di poter controllare gli eventi incerti. Per questo motivo utilizzano il rimuginio come strumento mentale per anticipare e controllare il possibile verificarsi di un evento futuro temuto. Il non verificarsi delle conseguenze temute determina il rinforzo di tale processo di pensiero e di conseguenza il rimuginio si cronicizza e diventa disfunzionale e maladattivo.

Il rimuginio può quindi avere effetti deleteri sulla salute mentale e fisica ed essere associato a una ridotta qualità della vita, poiché le persone che ne soffrono tendono a evitare situazioni sociali e a sperimentare un aumento dei livelli di stress e tensione.

Per oggi mi fermo qui ma tornerò a parlarvi del rimuginio nel mio prossimo video. A presto e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA (Part 2)

Salve a tutti,

continuiamo a parlare di disturbi d’ansia, nello specifico del disturbo d’ansia generalizzata e dei criteri necessari per diagnosticarlo.

Secondo il DSM-5-TR per poter diagnosticare il disturbo d’ansia generalizzata è necessario che i pazienti provino ansia e preoccupazioni eccessive in almeno due ambiti di vita (lavorativo, scolastico, familiare…) per un gran numero di giorni e per più di 6 mesi. Inoltre devo essere presenti i seguenti criteri:

  • La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione;
  • L’ansia e la preoccupazione sono associate con almeno tre dei sintomi seguenti: irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno;
  • L’ansia, le preoccupazioni e i sintomi fisici provocano una significativa riduzione della qualità di vita del soggetto.

I sintomi psichiatrici devono causare un disagio significativo o compromettere significativamente il funzionamento sociale o lavorativo. Il decorso del disturbo è solitamente fluttuante e cronico e la maggior parte dei pazienti con disturbo d’ansia generalizzata presenta una comorbilità di uno o più disturbi psichiatrici, tra cui una depressione grave, una fobia specifica, un disturbo d’ansia sociale o un disturbo da panico.

Con oggi concludo la descrizione del disturbo d’ansia generalizzata e in generale dei disturbi d’ansia ma ci rivedremo preso con un nuovo argomento sempre inerente all’ansia. A presto allora e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

IL DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA (Part 1)

Salve a tutti,

torniamo a parlare di disturbi d’ansia e oggi vi presento l’ultimo tra quelli classificati: il Disturbo d’Ansia Generalizzata (GAD).

Il disturbo d’ansia generalizzata è caratterizzato dalla preoccupazione che induce una serie di sintomi d’ansia generalizzati e persistenti. Le persone con disturbo d’ansia generalizzata hanno molteplici preoccupazioni, che spesso cambiano nel tempo. La preoccupazione in generale risulta quindi eccessiva rispetto all’evento temuto, pervasiva e difficilmente controllabile dal soggetto. Le preoccupazioni più comuni riguardano le responsabilità lavorative e familiari, il denaro, la salute, la sicurezza, le faccende domestiche e così via.

I pazienti con disturbo d’ansia generalizzata percepiscono di avere meno controllo sulle proprie preoccupazioni, riferiscono di avere una più alta proporzione di preoccupazioni rispetto alle altre persone e riconoscono di trascorrere molto tempo della loro giornata preoccupandosi per cose di secondaria importanza. Le loro preoccupazioni tendono a riflettere una vulnerabilità nel senso di minaccia percepita (ad es., “Qualche cosa andrà male”) e la mancanza di risorse personali nel fronteggiamento delle situazioni (ad es., “Non sono in grado di farcela”). I pazienti con disturbo d’ansia generalizzata si descrivono come persone sensibili, tendenti al nervosismo e alla preoccupazione cronica, detta anche rimuginio, caratteristica cognitiva principale del disturbo.

Gli individui con disturbo d’ansia generalizzata riferiscono generalmente sensazioni di ansia o apprensione che trovano riscontro in un’incapacità generale di rilassarsi o in sintomi più specifici che comprendono:

  • tensione muscolare irrequietezza, tremori
  • stato di attivazione eccessivo, irritabilità o difficoltà di concentrazione

Con il tempo l’ansia e le preoccupazioni costanti possono contribuire a determinare un senso di eccessiva stanchezza, cefalea tensiva, disturbi epigastrici e insonnia.

Per oggi mi fermo qui ma la prossima settimana vi parlerò ancora del disturbo d’ansia generalizzata e in particolare dei criteri per diagnosticarlo. A presto e restate connessi.

Dr.ssa Michela Pinton

AGORAFOBIA E ATTACCHI DI PANICO (Part 3)

Salve a tutti,

anche oggi vi parlerò dell’Agorafobia e in particolare della sua relazione con gli attacchi di panico.

Nei video precedenti vi ho parlato degli attacchi di panico e vi ho descritto il panico come è una condizione emotiva di paura e terrore, in cui prevalgono gli aspetti corporei e fisiologici della paura: il cuore che palpita, il corpo che trema e suda, la percezione di un malessere al petto o all’addome. Tutti questi sintomi vengono interpretati dalle persone come segnali che indicano che stanno per morire o impazzire o per perdere il controllo di sé stessi e del proprio corpo, in una condizione che è vissuta in modo terrificante.

L’Agorafobia estende questo timore perché le persone hanno il terrore di poter aver un attacco di panico in spazi aperti, spazi in cui sarebbe difficile chiedere ed ottenere aiuto in caso di bisogno. Negli spazi aperti infatti si ha la sensazione di perdere la direzione, di disorientamento. In luoghi come le piazze o i supermercati, che possono essere molto ampi e pieni di gente sconosciuta, si può provare sgomento e sentirsi perduti e questa è un’esperienza emotiva fortissima.

Con queste ultime informazioni chiudo l’argomento Agorafobia. Ci vediamo la prossima settimana con un nuovo disturbo d’ansia ovvero il Disturbo d’Ansia Generalizzata. A presto e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

AGORAFOBIA (Part 2)

Salve a tutti,

oggi torno a parlarvi di Agorafobia e in particolare delle sue possibili cause.

Le cause esatte dell’agorafobia non sono note ma vi sono diversi fattori di rischio che possono portare a sviluppare l’agorafobia. Questi fattori possono essere:

Di questi fattori, la storia familiare è dei più significativi per l’agorafobia. Se un soggetto ha un parente di primo grado che soffre di agorafobia, è possibile che sviluppi la stessa patologia con una probabilità che si stima sia intorno al 61%.

Anche lo stress ambientale è un fattore significativo. Eventi come la morte di una persona cara o aver subito un’aggressione, possono portare a temere luoghi chiusi e privi di una facile via d’uscita. Ciò avviene soprattutto se combinato con una predisposizione all’ansia e può portare all’insorgenza dell’agorafobia in persone di tutte le età, ma soprattutto negli adolescenti e nei giovani adulti.

Per oggi mi fermo qui ma nel mio prossimo video vi parlerò ancora di Agorafobia ed in particolare della sua relazione con l’attacco di panico. A presto e come sempre…..restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

L’AGORAFOBIA (Part 1)

Salve a tutti,

dopo una breve pausa per le festività natalizie eccomi di nuovo qui a parlarvi di disturbi d’ansia. Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati, oggi vi introduco l’agorafobia.

ll termine agorafobia deriva dalla parola greca “agorà“, piazza e “fobia“, paura. Agorafobia significa quindi la paura degli spazi aperti e/o affollati e di solito include situazioni come uscire da soli o stare in luoghi affollati.

L’agorafobia è quindi un disturbo d’ansia definito da un’intensa paura di situazioni o luoghi aperti ed affollati, che porta le persone a sentirsi intrappolati, impotenti, spaventati o a provare vergogna. Perché accade questo? Perché gli agorafobici temono di stare male in situazioni o luoghi in cui non potrebbero essere soccorsi o da cui non potrebbero fuggire se si dovessero sviluppare dei sintomi. Sono convinti che chiedere aiuto sarebbe imbarazzante e possono avere il timore del giudizio degli altri in relazione allo stare male in pubblico. Di conseguenza possono attivare meccanismi di evitamento delle situazioni ansiogene al fine di escludere la possibilità dell’insorgenza del panico. Tali comportamenti possono limitare notevolmente la qualità della vita. È possibile che diventino così estremi da far sì che chi ne soffre sia costretto a rimanere a casa per la paura.

Secondo il DSM-5-TR la diagnosi di agorafobia si basa sui seguenti criteri clinici =

i pazienti devono avere una marcata e persistente (≥ 6 mesi) paura o ansia per 2 o più delle seguenti situazioni:

  • Usare i mezzi pubblici (p. es. treni, autobus, aerei)
  • Trovarsi in spazi aperti (p. es., parcheggio, mercato, ponte)
  • Trovarsi in un luogo chiuso di limitate dimensioni (p. es., negozi, teatro, ascensore)
  • Fare la fila o trovarsi in mezzo alla folla
  • Trovarsi soli fuori casa

La paura deve coinvolgere pensieri come una possibile difficoltà nella fuga o che i pazienti non ricevano aiuto in caso fossero resi inabili dalla paura o da un attacco di panico.

In aggiunta, tutti i seguenti criteri devono essere presenti:

  1. Le stesse situazioni innescano quasi sempre paura o ansia.
  2. I pazienti evitano attivamente la situazione e/o richiedono la presenza di un compagno.
  3. La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto alla minaccia reale.
  4. La paura, l’ansia, e/o l’elusione causano disagio significativo o compromettono significativamente il funzionamento sociale o lavorativo.
  5. Se è presente un’altra condizione medica, la paura, l’ansia e/o l’evitamento sono chiaramente eccessivi.

Per oggi mi fermo qui ma vi parlerò ancora dell’agorafobia nel mio prossimo video. A presto quindi e restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton

IL DISTURBO DI PANICO (Part 3)

Salve a tutti,

oggi concludiamo l’argomento “Disturbo di panico” descrivendo un particolare aspetto ovvero il circolo vizioso del panico.

Il modello del circolo vizioso del panico è stato descritto da D.M. Clark nel 1986 e modificato da A. Wells nel 1997. Secondo tale modello avvengono i seguenti passaggi:

  1. EVENTO SCATENANTE = Uno stimolo scatenante esterno o interno che viene percepito dall’individuo come minaccioso o pericoloso attiva l’emozione paura.
  2. RISPOSTA EMOTIVA = L’emozione paura come vi ho descritto più volte innesca delle risposte fisiologiche come ad esempio dolori al petto, palpitazioni, tachicardia, salivazione azzerata, nausea, tremore, fame d’aria, iperventilazione ecc.
  3. INTERPRETAZIONE = Tale cambiamento fisiologico avviene in maniera talmente improvvisa e inspiegabile che il soggetto non riconosce queste risposte per quello che sono, ovvero risposte fisiologiche a qualcosa che ci fa paura ma le interpreta come una gravissima minaccia interna alla propria salute fisica o mentale. Tanto è vero che formula pensieri del tipo “mi sta venendo un infarto”, “ho un malore e sto per morire”, “non ho più il controllo di me stesso, sto per impazzire” e così via.
  4. AROUSAL DELL’ANSIA = Tutto ciò porta ad un incremento della preoccupazione, che non farà altro che acuire le sensazioni somatiche, fino a causare un vero e proprio attacco di panico.

↑ RITORNO E RINFORZO DEL PUNTO 3 = Questo loop di autorinforzo consiste nella paura della paura. Il panico a questo punto diventa oggetto di una preoccupazione anticipatoria, cioè la persona inizia a temere di avere nuovi attacchi di panico.

Coloro che entrano in questo circolo vizioso provano grande sofferenza e di conseguenza tendono a mettere in atto ogni sorta di evitamento o comportamento protettivo al fine di ridurre le sensazioni negative e non avere un’altra crisi. Tali strategie però si rivelano non solo poco efficaci ma addirittura fattori di mantenimento del disturbo. Di questo argomento però vi parlerò in un mio prossimo post.

Con questo video concludo l’argomento “disturbo di panico”. Riprenderò a parlare con voi dei disturbi d’ansia e in particolare dell’Agorafobia dopo una breve pausa per le vacanze natalizie. Tuttavia non mancherò di inviarvi i miei personali auguri nei prossimi giorni e nel frattempo….restate connessi!!!

Dr.ssa Michela Pinton