Salve a tutti,
ecco la prima parte dell’intervista alla radio che la dr.ssa Michela Pinton ha registrato la scorsa settimana sul tema “Ansia e Psicoterapia”.
Buon ascolto e restate connessi!!!
Salve a tutti,
ecco la prima parte dell’intervista alla radio che la dr.ssa Michela Pinton ha registrato la scorsa settimana sul tema “Ansia e Psicoterapia”.
Buon ascolto e restate connessi!!!
Ecco l’attestato di partecipazione al corso “Il ritiro sociale in adolescenza”. Prossimo passo partecipare al gruppo di discussione che si sta creando su questo argomento!
Dr.ssa Pinton Michela
Ciao a tutti, oggi invece di parlarvi di un argomento vorrei farvi una domanda. Sto pianificando degli incontri per i genitori e vorrei sapere:
“Se siete genitori quali argomenti vi piacerebbe approfondire rispetto all’infanzia e/o adolescenza con una psicologa dell’età evolutiva?”
Sarò grata a tutti coloro che spenderanno un minuto del loro tempo per darmi qualche suggerimento perchè ci terrei a trattare argomenti che interessano al pubblico. Dr.ssa Michela Pinton
Come promesso pubblico uno stralcio di video che parla dell’identità di genere e degli stereotipi connessi, dalla nascita all’età adulta. Questo video si connette al mio precedente post sull’identità di genere che vi invito a leggere se non l’avete già fatto.
Credo possa essere un buon spunto di riflessione su quanto la famiglia, la società e la cultura di appartenenza possono influenzare e a volte condizionare lo sviluppo naturale della propria identità. Buona visione.
* Il video originale è stato creato da generazionedisadattata.altervista.org ed è pubblicato sul canale youtube.
Qualche settimana fa ho partecipato ad una conferenza sul tema “Adolescenza e sessualità” e ho piacere di condividere con voi qualche informazione su alcuni dei temi trattati. Oggi vi parlo dell’identità di genere.
L’identità di genere è una dimensione psichica complessa, come ciascun individuo sente di essere, il suo sentimento profondo di femminilità o mascolinità. E’ composta da: l’immagine di noi stessi, la percezione di noi stessi, la percezione degli altri su di noi. E’ un processo che viene plasmato attraverso le relazioni sociali e che comincia anche prima della nascita, nel modo in cui i genitori immaginano il proprio figlio. Questo processo si definisce intorno ai 3-4 anni ma continua a plasmarsi fino all’adolescenza. Questo processo può diventare critico, doloroso se non di rottura, nel momento in cui il soggetto si percepisce diverso da come lo percepiscono gli altri. In questi casi può diventare molto difficile riuscire ad integrare le condizioni fisiche e psicologiche. Da ciò si evince che sia il temperamento del bambino che l’ambiente che lo circonda hanno un ruolo molto importante nella formazione dell’identità di genere. I comportamenti e gli atteggiamenti dei genitori influiscono sulla costruzione dell’identità di genere. A loro volta i genitori possono essere influenzati da fattori culturali e dai diversi stereotipi relativi a maschi e femmine. Il disagio verso il proprio sesso biologico può nascere quando il soggetto non si sente bene nella propria identità sessuale, quando percepisce una disarmonia tra aspetto fisico e psicologico, quando non si riconosce nel proprio corpo. In questi casi vorrebbe invece appartenere al sesso opposto perché in quello si identifica.
E’ importante non confondere l’identità di genere con l’omosessualità che consiste nell’attrazione verso persone dello stesso. L’orientamento sessuale è un’altra dimensione che si manifesta attraverso comportamenti che possono portare sintonia o distonia verso la propria identità di genere.
Spero che questa descrizione risulti sufficientemente chiara. Nel prossimo post pubblicherò un video proprio su questo argomento. Nel frattempo se volete commentare o fare qualche domanda, sarò lieta di parlarne ancora con voi.
Articolo a cura della Dr.ssa Federica Turri
L’adolescenza è un periodo evolutivo molto delicato, durante il quale i ragazzi affrontano profondi cambiamenti a livello fisico e psicologico. Questa è una fase di curiosità e scoperta: i ragazzi cercano di conoscere se stessi testando i propri limiti, anche attraverso nuove esperienze. Talvolta però sottovalutano i rischi e si espongono a comportamenti inconsueti, non sempre sani, spesso per non sentirsi esclusi dagli amici. Il gruppo dei pari, infatti, diventa a questa età il principale punto di riferimento e l’ansia del giudizio sociale o la paura di sentirsi diversi e inadeguati possono spingerli a condotte particolari.
Ecco che allora può nascere il desiderio di provare sostanze come la cannabis o l’alcol. Spesso ciò può accadere anche come risposta al bisogno di ribellarsi alle regole genitoriali o al tentativo di trovare un modo nuovo per svagarsi. Quando iniziano i primi contatti con queste esperienze, di solito l’adolescente non è consapevole dei rischi a cui si espone, quindi generalmente non chiede aiuto e tiene la famiglia all’oscuro di quanto gli sta accadendo. È importante comunque sapere che un primo contatto con le sostanze non rappresenta necessariamente l’inizio di un percorso di tossicodipendenza. Anzi, nella maggioranza dei casi si tratta di comportamenti a scopo ricreativo che rimangono ad un livello contenuto e che poi tendono a risolversi spontaneamente nel tempo, con l’acquisizione di abitudini più sane.
Sono invece a rischio quei ragazzi che continuano ad utilizzare queste sostanze o altre più pesanti perché si sono rivelate funzionali alla gestione di stati emotivi interni particolarmente dolorosi: giovani molto timidi, in fase depressiva, alle prese con importanti problematiche familiari o personali, possono trovare nelle sostanze un iniziale aiuto per attenuare questi malesseri, senza rendersi conto del pericolo della dipendenza che si può instaurare. In questi casi è possibile che le droghe diventino “compagne di strada”, “stampelle” a cui il giovane si appoggia non trovando in se stesso o nel contesto intorno a sé risorse alternative per affrontare il momento di difficoltà. Quindi quando il giovane non è più in grado di fermare l’abuso, significa che si è instaurata una dipendenza, che non è un vizio facilmente risolvibile con la buona volontà, ma una vera e propria malattia che richiede terapie mirate.
Quando un genitore mi contatta per un problema del figlio molto spesso mi vengano poste domande del tipo: “Dobbiamo venire entrambi i genitori? Cosa dobbiamo dire al bambino per convincerlo a venire? Alla fine della seduta mi dice che cosa ha mio figlio?….” Queste domande mi portano a credere che vi sia una scarsa conoscenza sugli psicologi/psicoterapeuti che si occupano di infanzia e adolescenza e, se posso, vorrei chiarire qualche dubbio e colmare qualche lacuna.
In questo articolo vorrei parlare dello psicologo/psicoterapeuta che si occupanello specifico di infanzia e adolescenza. Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia alcuna differenza con lo psicologo che si occupa di persone adulte ma in realtà non è così. Vi faccio un solo esempio per farvi capire che differenza c’è tra un adulto che va dallo psicologo e un bambino/ragazzo. Un adulto sceglie di rivolgersi ad uno psicologo perché si rende conto di avere un problema e di dover chiedere aiuto perché da solo non ce la fa a risolverlo. Un bambino viene portato dallo psicologo dai suoi genitori perché credono che abbia un problema. L’adulto sa di aver un problema e vuole occuparsene, avendo più o meno idea di cosa andrà incontro. Il bambino non sempre è consapevole di avere un problema, non sempre è disponibile a risolverlo (a volte è solo costretto dai genitori) e spesso non ha idea di chi sia lo psicologo e cosa faccia. Potete immaginare quanto possa cambiare quindi l’approccio di uno psicologo a seconda di chi si trova davanti? Nel caso di un bambino/ragazzo è fondamentale spiegargli chi si è, cosa si fa, in che modo e per quanto tempo. E’ importante creare per lui un ambiente accogliente e sereno. E’ importante parlargli con chiarezza e semplicità e soprattutto è fondamentale prendersi tutto il tempo necessario per farsi conoscere e per costruire con lui una relazione di fiducia. Insomma il bambino/ragazzo te lo devi conquistare e non è semplice. Non sto dicendo che tutti gli ingredienti appena elencati non servano anche con gli adulti, anzi, solo che con i minori bisogna dedicarci più tempo ed attenzione proprio perché non si affidano a te volontariamente né lo fanno sin dal primo momento.
In testa all’articolo ho elencato alcune delle domande che mi vengono poste e credo di riuscire a rispondere spiegando brevemente quali sono solitamente i passaggi per la presa incarico di un minore da parte uno psicologo/psicoterapeuta.
L’ultimo passaggio riguarda il percorso terapeutico ma di questa parte vi parlerò in un prossimo articolo. Per il momento spero di aver fugato qualche dubbio. Resto a disposizione per qualsiasi domanda o riflessione. A presto.