L’altro ieri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Attuativo per il Bonus Psicologo. Leggi il decreto.https://bit.ly/3I0TPq4
Secondo il decreto sarà compito dell’INPS introdurre la piattaforma per raccogliere le domande dei cittadini e informarli sulla procedura per ottenere il Bonus. Si prevede che il tutto sarà predisposto orientativamente per Settembre.
La graduatoria seguirà il criterio di ISEE del cittadino, e sarà presentabile solo da soggetti con un ISEE fino a 50.000 euro, e fino ad esaurimento dei fondi.
Come fatto finora, il Centro di Psicoterapia Scaligero si incaricherà di aggiornare gli utenti per tempo rispetto alla possibilità di richiedere e ottenere il Bonus.
come molti già sapranno nell’ultimo Decreto Milleproroghe è stato inserito il bonus psicologo. In un post precedente, che potete andare a rileggere, avevo spiegato in cosa consiste.
In sintesi si tratta di un voucher del valore di 600 euro di validità annuale che può essere speso, da coloro che ne faranno richiesta, per accedere ad un percorso di psicoterapia presso psicoterapeuti privati regolarmente iscritti all’albo. Chiaramente la cifra stanziata non copre le spese di un intero percorso ma vuole essere un aiuto almeno in fase iniziale.
Il fatto è che molti mi chiedono quando e come potranno far richiesta del bonus.
Purtroppo bisogna aspettare il decreto attuativo perché entri in vigore e si parla di una data tra Aprile e Maggio. Dopodiché saranno anche spiegate dal Ministero competente quali saranno le modalità per far richiesta.
È stato anticipato che servirà un certifico del medico di base che attesti la necessità del paziente di iniziare un percorso di psicoterapia.
In attesa quindi di nuovi sviluppi e info più precise vi ricordo che l’equipe del Centro di Psicoterapia Scaligero si rende disponibile ad accettare pazienti che usufruiranno del bonus psicologo perciò RESTATE CONNESSI!
oggi vi vorrei parlare delle terapie di terza generazione e spiegare quali sono, in cosa consistono, a cosa servono e come vengono utilizzate.
DEFINIZIONE
Le terapie di terza generazione sono nuove forme di psicoterapia che si evolvono dalla terapia cognitiva standard. Alcune di queste sono: l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT, Hayes, 1999), la Dialectical Behavior Therapy (DBT; Linehan, 1993), la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT; Segal, Williams, & Teasdale, 2001), la Metagognitive Therapy (MCT; Wells, 2000), la Compassion Focused Therapy (CFT; Gilbert 2007a, 2010).
SCOPO
Lo scopo di queste terapie è capire gli schemi di pensiero che mantengono attivate quelle emozioni che generano sofferenza con conseguenti sintomi e disagio psicologico. In sintesi, piuttosto che focalizzarsi sulla riduzione dei sintomi, questi interventi mirano a modificare i processi che mantengono gli stati psicologici presentati e la relazione dell’individuo con questi. L’obiettivo finale è aumentare la flessibilità psicologica, per diventare più consapevoli e aperti verso le nuove esperienze.
METODOLOGIA
Per costruire alternative mentali e comportamentali più ampie, flessibili ed efficaci le terapie di terza generazione si basano sull’uso di esercizi esperienziali o attentivi che favoriscano l’accettazione, e l’apertura all’esperienza. Le terapie di generazione sono più contestuali ed esperienziali rispetto alla terapia cognitiva standard, quindi sono meno teoriche. Le strategie di elezione per operare il cambiamento e implementare il benessere psicologico sono l’accettazione, lo spostamento dell’attenzione e la pratica della mindfulness.
EVIDENCE BASED MEDICINS
Tutte le terapie di terza generazione sono supportate da studi scientifici che ne attestano l’efficacia. Esistono numerosi studi di letteratura dai quali è possibile inferire i numerosi benefici che derivano dalla pratica di queste terapie.
Spero di essere stata abbastanza chiara ed esaustiva. In futuro vi parlerò più approfonditamente di ognuna di queste terapie. Nel frattempo RESTATE CONNESSI!
Uno dei trattamenti psicoterapici ad oggi più accreditati e utilizzati nel nostro Centro Clinico è quello dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing, comunemente detto EMDR. Focalizzato sull’elaborazione del ricordo di eventi traumatici, l’EMDR ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento di numerose psicopatologie, tra cui ansia, fobie, depressione, disturbo post traumatico da stress, lutto acuto, sintomi somatici o dipendenze. Anche nel disturbo di panico (DP) si è dimostrato particolarmente efficace.
Perché per noi è così importante trovare dei trattamenti efficaci per il Disturbo di Panico? Prima di tutto, perché ad oggi risulta una delle forme di disagio più diffuse nella nostra società e, unitamente a ciò, perché chi ne soffre sperimenta una forte e costante paura, che può portare a condotte disfunzionali e ad un peggioramento del disturbo. Nel tentativo di contenere gli attacchi di panico, infatti, la persona mette in atto una serie di strategie disadattive, primo tra tutte l’evitamento, nei confronti di quelle situazioni e/o comportamenti che pensa possano causare un nuovo attacco. Con il tempo, l’evitamento tende a diventare ricorrente e pervasivo, limitando fortemente la libertà d’azione di chi lo mette in atto. È chiaro quindi che, se non affrontato precocemente, il disturbo può diventare debilitante e portare ad isolamento sociale, limitazione delle attività personali, riduzione della qualità di vita e insorgenza di altre condizioni psicopatologiche come l’agorafobia o altre fobie. La forte paura che la persona prova, sia di fronte all’attacco in sé, sia all’idea di sperimentarne altri in futuro, è giustificata dalle caratteristiche stesse degli attacchi; essi si concretizzano infatti attraverso una reazione immediata dell’organismo, che si manifesta direttamente a livello fisico con un repentino aumento dell’attivazione fisiologica (arousal), non “mediata” da un pensiero o un’azione immediatamente riconoscibili come causa scatenante. L’attivazione fisiologica è collegata a ciò che comunemente viene definito “fight or flight” (attacca o scappa), la reazione tipica dell’organismo quando si trova di fronte ad un pericolo, che diventa però spaventosa se la fonte di pericolo non è immediatamente riconoscibile. Essa si manifesta attraverso sintomi somatici (palpitazioni, sudorazione, vampate di calore, brividi, nausea, giramenti di testa) accompagnati da altrettanti sintomi psicologici (senso d’irrealtà, paura di perdere il controllo, di morire o di impazzire, amnesie, estraneamento da sé stessi).
Perchè si usa l’EMDR? Secondo il modello dell’EMDR esperienze sfavorevoli infantili o eventi traumatici possono compromettere la capacità dell’individuo di far fronte ad esperienze stressanti. I pazienti con DP, durante questi vissuti traumatici, potrebbero aver dissociato la parte emozionale dell’esperienza, confinandola in un circuito separato di memorie disadattive. Se, infatti, normalmente le informazioni provenienti dall’esterno vengono rielaborate continuamente e integrate alle esperienze attuali, i ricordi traumatici rimarrebbero “separati”, mantenendo l’intensità emotiva di quando sono stati vissuti. L’individuo risulta particolarmente sensibile a questo meccanismo soprattutto quando le esperienze sfavorevoli sono vissute in infanzia, periodo in cui il cervello è in fase di maturazione. Queste informazioni parzialmente isolate possono essere riattivate in modo imprevedibile da situazioni di vita quotidiana, risvegliando inconsapevolmente i ricordi traumatici e tutte le emozioni/sensazioni collegate. Per questo motivo, quando un paziente vive un attacco di panico ed esperisce tutte le sensazioni ed emozioni non elaborate, generalmente non è in grado di individuare la causa scatenante o dare un senso all’evento. L’EMDR lavora dunque sia sull’attacco di panico in sé, vissuto esso stesso come evento traumatico, sia sulle esperienze traumatiche del passato. Nello specifico, si vanno ad elaborare le informazioni connesse a: -il ricordo degli attacchi di panico -le situazioni che determinano il disturbo nel presente -le esperienze traumatiche pregresse Una volta che i ricordi vengono elaborati, perdono la loro valenza negativa originaria e possono essere integrati con le altre memorie. Aiuteremo inoltre il paziente a trovare delle strategie funzionali per ridurre l’evitamento e i comportamenti protettivi che, contrariamente a ciò che si aspetta, mantengono il disturbo.
Ciao a tutti, in questo articolo vorrei parlarvi di un grande insegnamento che ho ricevuto su come svolgere il mio lavoro, che può diventare un piccolo aiuto per chi si trova in difficoltà e volesse rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
Venerdì scorso ho partecipato al workshop introduttivo del ciclo “Clinica della mente ossessiva”,condotto dal Prof. Francesco Mancini.
Non voglio entrare nello specifico del corso per non annoiare, con argomenti troppo tecnici, chi avrà voglia di leggere questo post ma racconto che lo scopo principale della giornata è stato comprendere lo schema di funzionamento della mente di un paziente con disturbo ossessivo compulsivo (DOC).
Per chi non lo conoscesse il prof. Mancini, è uno dei massimi esperti del DOC e, nonostante lo conosca da anni, ho sempre qualcosa da imparare da lui. C’è un concetto in particolare, che ha espresso venerdì, che vorrei trasmettere al pubblico e anche se non ricordo precisamente le parole diceva questo: “Insisto così tanto sul fatto che riusciate a comprendere la mente del paziente perché se non ci riuscite, anche se conoscete le strategie e le tecniche d’intervento migliori del mondo, non saprete applicarle”.
In sostanza quello che ci voleva far capire è che per diventare dei bravi psicoterapeuti non basta conoscere le tecniche più efficaci e innovative, prima di tutto è fondamentale conoscere a fondo chi ci sta di fronte: cosa pensa, come si sente, come si comporta, che scopi ha, che bisogni ha e così via. Conoscere tutti questi aspetti e saperli organizzare secondo un senso logico significa comprendere davvero la mente di qualcuno.
Da quando ho intrapreso la mia carriera professionale applico con convinzione questo insegnamento e cerco di trasmetterlo agli psicologi e specializzandi più giovani perché capire veramente le persone è il primo passo per poterle aiutare ma ora giro questo discorso a chi sta dall’altra parte e cerca un aiuto in campo psicologico.
Premesso che ci si rivolga sempre e solo ad un professionista che possieda una laurea, un’abilitazione alla professione e una specializzazione, un altro aspetto importante da considerare è trovare qualcuno che sia veramente capace di accogliervi, capire cosa vi succede e di spiegarlo con chiari e semplici parole. Se in questa fase vi sentirete riconosciuti e potrete dire a voi stessi “finalmente qualcuno che sa come mi sento, cosa penso e perché”, allora è possibile che abbiate trovato il terapeuta giusto per voi. Se vi sentirete davvero compresi è probabile che sarete anche più disposti ad affidarvi alle sue cure. Quindi vi invito a tener presente questa piccola regoletta qualora aveste bisogno di un aiuto.
Per oggi è tutto ma vi rimando al mio prossimo articolo sul corso di formazione a cui parteciperò questo weekend, dal titolo “Il ritiro sociale in adolescenza”, altro argomento di cui mi occupo da tempo e di assoluta attualità. Mi raccomando allora……restate connessi!
Nel mio precedente articolo avevo promesso che mi sarei addentrata di più nella definizione di Ritiro Sociale ed eccomi qui.
Cercherò di
spiegarlo nel modo più semplice e chiaro perché come vi avevo anticipato si
tratta di una dimensione complessa.
Per dimensione si intende un insieme di caratteristiche che possono essere misurate sia per qualità che per quantità e nel caso del ritiro sociale possono essere le motivazioni, le emozioni e i comportamenti ad esso connessi.
Il Ritiro Sociale consiste in pratica nel sottrarsi gradualmente alle opportunità di interazione sociale fino alla chiusura totale al mondo, ovvero quei casi in cui una persona si chiude in una stanza senza più vedere nessuno, neanche i propri familiari, per molto molto tempo, mesi o addirittura anni.
Il Ritiro Sociale è un aspetto che può presentarsi in diverse patologie (depressione, fobia sociale, autismo …) per questo è definito transdiagnostico.
La traiettoria di chiusura alla società di solito nasce presto, a volte già nell’infanzia, e dipende da diversi fattori individuali (per es. la timidezza e le abilità sociali), relazionali (per es. la validazione e il giudizio degli altri) e ambientali (per es. il tempo e la numerosità del contesto). Questi fattori possono diventare fattori di rischio o fattori protettivi a seconda di se, quanto e come si presentano. Per esempio avere sufficienti abilità sociali può essere un fattore protettivo rispetto al ritiro sociale.
E’ importante considerare le motivazioni interne che spingono il soggetto a ritirarsi: disinteresse sociale o timidezza conflittuale. Vi sono infatti tre tipi di ritiro sociale:
1) persone
che avrebbero interesse a stare con gli altri ma che per ansia e vergogna non
ci riescono;
2) persone
che provano un senso di estraneità e non appartenenza che inibisce il desiderio
di stare con gli altri e li pone in una condizione del tipo “ci sto ma
anche no”;
3) persone
che sono distaccate e stanno bene così.
Si può dedurre quindi che non sempre il ritiro sociale è una patologia, a volte può essere vissuto come una scelta, un desiderio. Pensate ad esempio al bambino che gioca da solo o all’adolescente che si chiude in camera sua: probabilmente il primo sta sviluppando delle capacità e il secondo sta costruendo la sua identità. Di conseguenza per capire se alcuni segnali sono sintomo di una patologia è importante affidarsi ad un professionista che sappia valutare il grado di adattamento del soggetto che si ritira.
Visto che segni e sintomi del ritiro sociale possono manifestarsi già nell’infanzia e nell’adolescenza, senza cadere in facili allarmismi, qualora ci fosse un dubbio la cosa migliore è rivolgersi ad una psicoterapeuta che possa una corretta valutazione e ricordate sempre che prevenire è meglio che curare!
Ora vi lascio riflettere su questo punto e vi rimando al mio prossimo articolo su questo interessante argomento. Se avete domande e vostre riflessioni da condividere sono sempre ben accette. Stay tuned!
Rassegna “Pillole di psicologia”. In questo filmato la dr.ssa Pinton Michela vi parla della possibilità che i disturbi d’ansia si presentino in comorbilità con altri disturbi e come ci si approccia nel setting terapeutico se si presenta questa eventualità. Buona visione!
Rassegna “Pillole di psicologia”. La dr.ssa Pinton Michela risponde alle domande del pubblico durante la serata “Ansia e Panico” e spiega per quali motivi è utile affidarsi ad uno psicoterapeuta. Buona visione!
Un altro video della rassegna “Pillole di psicologia”. In questo filmato vi parlerò delle fasi della terapia per l’ansia in età evolutiva e di alcuni strumenti maggiormente utilizzati. Buona visione.
Nell’ambito del Convegno “I giovani e i disagi della sessualità” di qualche mese fa, un medico di base ha elencato le difficoltà che incontra quotidianamente nel tentare di occuparsi della fascia di età adolescenziale e mi sono resa conto che sono circa le stesse difficoltà che incontro io come psicoterapeuta.
Nel mio post precedente ho elencato i motivi per cui difficilmente un adolescente accede ai servizi a lui dedicati. Oggi proverò a dare qualche informazione e qualche spunto di riflessione nel tentativo di abbattere qualcuno di quegli ostacoli di cui sopra.
Mi rivolgo proprio a te ragazzo o ragazza, nella speranza che riuscirai a leggermi:
ricordati che puoi chiedere un colloquio privato con un medico o con uno psicologo/psicoterapeuta, senza la presenza dei tuoi genitori. I tuoi genitori devono essere informati della tua scelta ma non dei contenuti del colloquio. Hai diritto come gli adulti ad essere tutelato per la tua privacy e ad essere informato sullo stato della tua salute. Questa garanzia ti dovrebbe consentire di aprirti e parlare liberamente di tutto ciò che ti interessa o ti preoccupa;
è vero che puoi avere difficoltà a raggiungere il mio studio, specie se abiti lontano e se i tuoi genitori non sono sempre disponibili ad accompagnarti ma possiamo trovare insieme il momento migliore per vederci ed usare i mezzi pubblici, la bici o il motorino può essere un’occasione per crescere in autonomia e indipendenza;
tu sei un ragazzo/a e io un’adulta e quindi potremmo avere gusti e modi di pensare diversi ma credo che dal confronto possa sempre nascere qualcosa di buono e che si possa imparare gli uni dagli altri, l’importante è tenere aperta la nostra mente. Io cercherò di farlo sempre con te, così come cerco sempre di tenermi aggiornata sugli interessi e sulle mode del momento di voi ragazzi;
cercherò anche di parlare la tua lingua, di farmi comprendere da te, evitando termini tecnici ma se mi sfuggisse qualcosa puoi sempre segnalarmelo e chiedermi una spiegazione. Sarò sempre disponibile a spiegarmi meglio;
lo so che alla tua età la vita corre ai 100 all’ora e vorresti risolvere qualunque tuo problema in pochissimo tempo, magari in una sola seduta. Credimi che vorrei poterlo fare ma non ho la bacchetta magica e non leggo nel pensiero. Io cercherò di fare il meglio che posso con gli strumenti che ho ma sarà molto utile il tuo aiuto. Più riusciremo a parlare, a comprenderci e a lavorare in sinergia, prima troveremo una soluzione. La tua collaborazione è quindi fondamentale;
i costi dei colloqui con me non sono a carico tuo ma dei tuoi genitori e quindi entrambi dipendiamo dalle loro possibilità e disponibilità. Ciò significa che entrambi dovremmo impegnarci per sfruttare al meglio le risorse e il tempo che abbiamo a disposizione e in caso di particolari problemi economici sono sempre disponibile a cercare un punto d’incontro;
se posso convenire con te che un colloquio con uno psicologo può indicare la presenza di un problema, questo non significa che si tratti necessariamente di qualcosa di grave. Ho bisogno di vederti e di parlare con te per capire se un problema esiste davvero o è solo un fase di passaggio un po’ complicata. E se un problema c’è, è importante capire che significato gli dai tu. Non è che forse lo ingigantisci un po’ questo problema? Non è che hai solo paura di essere giudicato? E se il giudizio fosse solo nella tua testa? Se credessi tu stesso di avere un grave problema, qualcosa che non si può risolvere e ne avessi così tanta paura da negarlo e rifiutare di parlarne nell’illusione che scompaia da solo?
Chiudo questo post lasciandoti riflettere su queste ultime domande e se tu o chi ti sta vicino volesse chiedermi qualcosa, sappi che lo puoi fare sia in privato che scrivendo su questa pagina. Cercherò di rispondere nel più breve tempo possibile. Aggiungo solo un’ultima considerazione. Se pensi di chiedere aiuto agli amici, prima di tutto affida le tue preoccupazioni solo ai veri amici e poi ricordati che gli amici che hai probabilmente sono ragazzi della tua età o giù di lì, che possono ascoltarti, starti vicino e a loro modo sostenerti, ma che possono anche non sapere come aiutarti nel modo migliore perché non hanno le conoscenze e l’esperienza che ha un professionista. Quindi se pensi di avere un problema ed entro un certo tempo da solo o con gli amici non ne vieni fuori prova a pensare ad un’alternativa. Le persone che possono darti una mano ci sono. Io sono qua!