INCONTRO DIVULGATIVO SUI PAC: IL CONCETTO DI MULTIFATTORIALITA’

Ciao a tutti,

di recente ho tenuto degli incontri online con genitori e insegnanti sui PAC (problemi di aggressività e condotta). In un mio precedente post vi ho parlato della differenza tra rabbia e aggressività e oggi vorrei introdurre il concetto di multifattorialità.

Mi capita spesso, entrando in contatto con genitori di bambini/ragazzi che manifestano problemi psicologici, di notare una certa resistenza a chiedere aiuto se non addirittura un evitamento totale ad affrontare il problema. Quando però riesco ad instaurare un rapporto di fiducia ed alleanza, riesco a comprendere i motivi che stanno alla base di questi comportamenti. Mi rendo conto che questi genitori provano una serie di emozioni spiacevoli come ansia, preoccupazione, angoscia etc. ma anche un grandissimo senso di colpa.

Eh sì! Perché vuoi o non vuoi un genitore si sente sempre responsabile per il proprio figlio e per la sua salute, anche quella mentale. E così il senso di colpa spesso si accompagna a pensieri del tipo: “Sono un cattivo genitore, sono inadeguato, ho sbagliato tutto, sono troppo…. o sono troppo poco…., se mio figlio ha dei problemi e tutta colpa mia!”

È comprensibile che con queste idee e queste emozioni in gioco un genitore possa mettere in atto comportamenti controproducenti come l’evitamento o il rifiuto ad accettare ed affrontare il problema.

Il fatto è che le cose non stanno proprio così, solo che i genitori non lo sanno. Il problema nasce dal fatto che spesso i genitori non conoscono il concetto di multifattorialità ma niente paura perché colgo questa occasione per spiegarlo.

Fare diagnosi di psicopatologia in età evolutiva non è cosa facile perché i fattori che concorrono al suo sviluppo sono molteplici: fattori individuali, trasformazioni maturative, caratteristiche familiari, fattori sociali e fattori culturali. Tutti questi fattori si possono dividere in due tipi: i fattori protettivi (eventi favorevoli nella vita di una persona) e fattori di rischio (eventi sfavorevoli nella vita di una persona). È l’interazione tra questi due tipi di fattori che determina l’eventuale sviluppo di una psicopatologia e la sua manifestazione. Più fattori di rischio sono presenti e predominanti più aumenta il rischio di una psicopatologia.

Ciò significa che non è mai un unico fattore a determinare lo sviluppo di un disturbo con un nesso di causa effetto ma si tratta sempre della combinazione di più fattori di rischio.

Tornando quindi al mio discorso sui genitori, provo a fare un esempio. Lo stile educativo genitoriale può diventare un fattore di rischio. Per esempio genitori troppo permissivi o iperprotettivi o incoerenti, rifiutanti o coercitivi possono concorrere allo sviluppo di un problema di aggressività e condotta nel bambino/ragazzo ma non come unico fattore. Serve che oltre a questo fattore di rischio che riguarda lo stile educativo genitoriale si sommino anche altri fattori, individuali o ambientali. Se questo invece fosse l’unico fattore di rischio presente non si manifesterebbe il problema perché in questo caso i fattori protettivi sarebbero in numero maggiore e concorrerebbero a sanare la situazione.

Se sono riuscita a spiegare il concetto di multifattorialità i genitori a questo punto dovrebbero sentirsi un po’ più sollevati perché dovrebbe risultare chiaro che sebbene il loro contributo sia importante tuttavia non è determinante nello sviluppo di una psicopatologia nel figlio. Spero che questa consapevolezza possa alleggerire il senso di responsabilità e far sì che si possa accettare ed affrontare meglio una diagnosi di psicopatologia in età evolutiva. Di sicuro ignorare o rifiutare il problema non lo risolve anzi può aggravare molto la situazione se passa molto tempo prima di un reale intervento. Mi auguro questa piccola informazione che ho dato oggi possa aiutare.

A presto con un nuovo articolo e mi raccomando…RESTATE CONNESSI!

Dr.ssa Pinton Michela

QUELLO CHE SIAMO OGGI DIPENDE DA COME CI HANNO CRESCIUTO I NOSTRI GENITORI?

Una riflessione nata dalla visione del film “Il Divin Codino”, biografia di Roberto Baggio.

Ciao tutti, non so se è capitato anche a voi ma qualche settimana fa ho visto il film “Il Divin Codino”, una biografia della vita del calciatore Roberto Baggio. Il lavoro introspettivo fatto su questo personaggio mi ha fatto riflettere su una particolare questione che vorrei condividere con voi: quale e quanta parte hanno i nostri genitori in quello che diventiamo una volta adulti? Noi siamo il risultato di come ci hanno cresciuto i nostri genitori?

Questo è una domanda con cui mi confronto spesso nella mia professione visto che mi occupo di età evolutiva e lavoro sia con bambini/adolescenti che con i loro genitori. Vorrei usare la rappresentazione del rapporto padre e figlio che è stata proposta in questo film per rispondere a questa domanda.

Nel film il padre di Baggio appare come un uomo tutto d’un pezzo, grande lavoratore, capace di grandi sacrifici per sostenere una famiglia con ben otto figli, dal carattere duro, severo, poco affettivo nei gesti e nelle parole ma sempre presente soprattutto nei momenti di difficoltà. Roberto sembra avere molto rispetto ma anche molta soggezione del padre. Si impegna tantissimo nella speranza di essere riconosciuto dal padre per il suo valore, finendo però, la maggior parte delle volte, sentendosi non all’altezza delle aspettative, non abbastanza bravo. Questo lo porta ad alzare sempre di più l’asticella delle sue prestazioni e ad ambire a traguardi sempre più alti fin dalla più tenera età.

A più riprese nel corso del film il protagonista ricorda un frammento della sua infanzia, un dialogo col padre avvenuto durante la visione di una finale dei mondiali in cui l’Italia aveva perso contro il Brasile. Roberto vedendo il padre molto deluso per la sconfitta subita dalla nazionale gli fa una solenne promessa: “Vincerò io i mondiali per te contro il Brasile”. All’epoca di questo ricordo Roberto è solo un bambino di 5 anni eppure si fissa nella mente questo impegno solenne e di lì in poi orienta tutta la sua vita a questo scopo con una tenacia e una determinazione eccezionali. Quindi un po’ per la promessa fatta al padre e un po’ perché il padre sembra spingerlo a fare sempre di più e meglio, Roberto intraprende questa sfida con sé stesso per superare ogni limite e ogni ostacolo al massimo delle sue possibilità. La storia ci insegna che lui il suo obiettivo l’ha raggiunto, quella finale ai mondiali col Brasile l’ha giocata!

È a questo punto allora che viene da chiedersi: È stato merito dell’educazione che ha ricevuto da un padre così severo e intransigente se ha ottenuto quel grande risultato e tutti i successi precedenti?”

Ma noi sappiamo anche come è andata a finire quella partita, ricordiamo benissimo quel rigore sbagliato e nel film viene mostrato quanto dolore e quanta delusione Roberto ha provato in quel momento e in seguito.

In questo caso la domanda diventa: “È stata colpa di un genitore troppo esigente, che gli ha messo troppa pressione, se ha commesso quel fatale errore nel momento più importante della sua vita?”

Queste due domande si contraddicono, lo natate anche voi? Quale è allora quella giusta?

In realtà nessuna delle due! Il dialogo finale tra Roberto e suo padre lo chiarisce bene. I due trascorrono una giornata insieme e si confrontano. Roberto è alla fine della sua carriera, sta per lasciare il calcio e fa una sorta di bilancio del suo percorso, mostrando di essere ancora molto deluso per non aver realizzato il sogno di suo padre. A questo punto il padre gli rivela una cosa che sconvolge Roberto e anche i telespettatori del film. Quel ricordo di quando aveva 5 anni e gli aveva promesso di vincere i mondiali in realtà non era mai successo, se l’era inventato e lo aveva fatto per dargli un obiettivo perché lo vedeva un bambino molto insicuro.

Roberto realizza in quel momento di aver incentrato tutta la sua vita, di aver affrontato difficoltà immense per qualcosa di irreale, di inesistente e chiaramente sul momento si arrabbia, è furioso col padre. Poi però ci pensa e la rabbia passa perché realizza che non è stato né per merito né per colpa di suo padre se ha fatto quello che ha fatto e se è diventato quello che è diventato.

Sono tanti gli elementi che hanno contribuito a rendere Roberto Baggio quello che è. In psicologia li chiamiamo fattori e possono essere individuali, come il temperamento, la genetica, le credenze, gli scopi eccetera e ambientali come lo stile genitoriale, la società e la cultura di riferimento, le esperienze che si fanno, le persone significative con cui si intessono relazioni eccetera. È l’insieme di tutti questi fattori che determina ciò che siamo e quello che possiamo diventare.

Certo il padre di Baggio ha contribuito in parte a farlo diventare la persona e il grande sportivo che è diventato ma insieme ad altri mille fattori come il suo temperamento, il suo talento, la sua predisposizione fisica, le persone con cui si è rapportato (moglie, figli, allenatori, giocatori, tifosi), le esperienze che ha vissuto (successi e cadute come i suoi infortuni), il buddismo e così via.

Insomma sono tanti i fattori che entrano in gioco, alcuni li definiamo protettivi perché ci aiutano a star bene e a realizzare noi stessi e i nostri obiettivi, altri li definiamo fattori di rischio perché possono ostacolarci. In ogni caso è la combinazione di tutti questi che ci forma come persone.

Quindi per rispondere alla domanda principale di questo testo, cari genitori ricordate che certamente siete dei fattori importanti nello sviluppo e crescita dei vostri figli ma non siete l’unico fattore e quindi non c’è un nesso di causa effetto tra ciò che fate e come diventano i vostri figli. So di aver affrontato un concetto non facile da comprendere ma spero, con l’aiuto di questo esempio, di essere riuscita in qualche modo a spiegarlo.

Alla prossima allora con un altro argomento e come sempre….RESTATE CONNESSI!!!

Dr.ssa Pinton Michela

DAL LIBRO CUORE: LA SCUOLA DI OGGI A CONFRONTO CON QUELLA DI ALLORA. Part.2

Ciao a tutti, nell’articolo della scorsa settimana, prendendo spunto da una lettura del libro “Cuore”, avevo messo a confronto alcuni aspetti della scuola di oggi con quella di allora. Nello specifico era emerso che l’istinto di accudimento e protezione delle mamme di fine ‘800 non è molto diverso da quello delle mamme di oggi. A seguito di questa constatazione era però sorta una domanda con cui ci eravamo lasciati: “se i genitori di allora erano apprensivi e protettivi come quelli di oggi perché ultimamente non si fa che discutere sul fatto che si intromettono troppo nella vita scolastica dei loro figli? Vedi ad esempio le chat di classe o le ingerenze sulla didattica o i metodi di insegnamento! Oltre un secolo fa accadeva la stessa cosa oppure al giorno d’oggi questa situazione si è allargata e diventata più pervasiva?”

È difficile fare un confronto tra scuola di fine ‘800 e scuola del XXI° secolo perché i fattori da analizzare sono molteplici ma sempre nel libro “Cuore” ho letto un altro passo che mi ha fatto riflettere e che forse potrebbe avvicinarci ad una risposta. Ve lo riporto di seguito.

“Rispetta, ama il tuo maestro, figliuolo. Amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta; perché egli consacra la vita al bene di tanti ragazzi che lo dimenticheranno; amalo perché ti apre e t’illumina l’intelligenza e ti educa l’animo………Ama il tuo maestro perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari……che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente”.

Ciò che mi ha colpito in particolare di questo passo è la frase: “amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta”. Credo che sentimenti come amore e rispetto siano la base per costruire un rapporto di stima e fiducia con un’altra persona e se si riesce a far questo allora è possibile affidarsi con sicurezza nelle mani dell’altro. Rispetto, amore, stima sono quindi ingredienti fondamentali per costruire un rapporto di fiducia, un’intesa e uno scopo comune tra genitori e insegnanti. Credo siano le condizioni necessarie per permettere ai genitori di affidare l’educazione dei loro figli ai maestri che incontrano a scuola.

Nel passo che ho citato, il padre che parla, crede fermamente e si fida dei maestri e dell’istituzione scuola. Forse sono proprio tutti questi sentimenti (rispetto, stima, amore, fiducia) che fanno sì che un genitore non si intrometta, non interferisca o non invada troppo l’area di competenza di un insegnante ma lasci fare in piena sicurezza, fidandosi dell’operato di chi è più esperto.

Allora a questo punto pongo un’altra domanda: “i genitori di oggi provano gli stessi sentimenti di cui si parla nel passo che citato? I genitori di oggi si fidano ancora dei maestri e dell’istituzione scolastica?”

Devo ammettere che, grazie alla possibilità che ho di confrontarmi con tutti gli interlocutori dell’universo scuola, a volte ho l’impressione che questi sentimenti vengano un po’ a mancare, che il patto educativo tra scuola e famiglia si perda un poco. Quindi la domanda la giro a voi: “cari genitori non vi fidate più degli insegnanti? E se sì, perché? E che ricadute ha questa mancanza di fiducia sulla vita scolastica di vostro figlio?”

Sono tante domande che lascio aperte, me ne rendo conto ma sono domande importanti su cui è bene riflettere a lungo per trovare delle risposte. Forse condividendo le varie opinioni qualche risposta si può trovare perciò vi invito a scrivere, commentare, condividere i vostri pensieri e nel frattempo……restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

DAL LIBRO CUORE: LA SCUOLA DI OGGI A CONFRONTO CON QUELLA DI ALLORA. Part.1

Ciao a tutti,

dopo la pausa delle festività natalizie torno a scrivere qualche mia riflessione su questa pagina.

Qualche tempo fa, a seguito della partecipazione ad una conferenza sul valore educativo del libro “Cuore”, ho pensato di rileggerlo, dopo tanti anni, con uno sguardo diverso. Infatti sto cercando di fare un confronto tra la scuola di allora e quella di oggi.

È ovvio che dopo oltre un secolo la scuola sia cambiata ma vorrei scoprire se qualche punto in comune è rimasto, se il cambiamento è stato sempre in positivo e se qualcosa che andato perduto, forse sarebbe meglio recuperarlo.

A proposito di qualcosa che non è cambiato, nello scorrere le pagine ho trovato questa frase: “Povere maestre! E ancora le mamme a lagnarsi: come va, signorina, che il mio bambino ha perso la penna? Com’è che il mio non impara niente? Perché non dà la menzione al mio che sa tanto?…”

Che sorpresa, non me l’aspettavo! Anche le mamme di fine ‘800 erano apprensive e protettive come quelle di oggi. Pensavo invece si comportassero diversamente, che avessero una sorta di sacro timore reverenziale verso le istituzioni per cui evitassero di fare richieste o addirittura lamentele agli insegnanti. E invece, a quanto pare, “tutto il mondo è paese” e le mamme sono sempre mamme in qualunque posto e in qualunque epoca. L’istinto di protezione e accudimento verso i propri figli è sempre lo stesso.

Ma se questo aspetto non è cambiato nel corso del tempo, allora perché oggi si fa un gran parlare del fatto che i genitori si intromettono troppo nella vita scolastica dei loro figli?

Spesso si sente parlare delle “terribili chat di classe” dove i genitori discutono animatamente contro questa o quella decisione dell’insegnante o della scuola, di consigli di classe o di istituto che diventano delle sorte di trincee, di difesa ad oltranza del singolo alunno anche di fronte alle evidenze. Insomma sembra che in molti casi genitori e insegnanti si trovino su fronti opposti. Questo succede come accadeva oltre un secolo fa o la situazione è peggiorata, è diventata più generalizzata e pervasiva?

Voi che leggete cosa ne pensate? C’è qualche genitore tra voi che vuole esprimere la sua opinione?

Io ho cercato una risposta in altre pagine del libro e forse l’ho trovata ma ve ne parlerò nel mio prossimo post. Intanto ci rifletterei insieme a voi e come sempre vi raccomando….restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

NUOVE TECNOLOGIE: QUALE APPROCCIO DEI RAGAZZI E QUALE RUOLO DEGLI ADULTI? Parte 2

Ciao a tutti,

oggi riprendo e concludo l’articolo della scorsa settimana sull’utilizzo delle nuove tecnologie dopo la mia esperienza negli istituti scolastici lo scorso anno. Avevo concluso il mio precedente post raccontandovi di quanto i ragazzi siano abili nel comprendere il funzionamento dei sistemi digitali mentre per parte mia ho potuto mettere in campo competenze di altro tipo. Da ciò l’idea di una collaborazione tra adulti e ragazzi quando si interagisce con questi strumenti.

Questa idea mi è venuta anche perché mi sono resa conto che il modo in cui gli alunni approcciavano ai diversi device appariva del tutto inconsapevole e facile al condizionamento.  Per usare una similitudine, immaginate che il web sia una giungla e che i ragazzi siano dei dispersi senza alcun strumento di sopravvivenza.

Per fare degli esempi: 1) la maggior parte di loro non si rende assolutamente conto di quanto tempo passa connesso perché viene risucchiato da un vortice di messaggi, notifiche, video e così via;

2) sono talmente assuefatti al piacere che provocano questi strumenti da non riuscire più a staccarsene o farne a meno;

3) il mondo virtuale è talmente compenetrato nel mondo reale che finiscono con l’essere continuamente distratti e influenzati da ciò che succede nel mondo virtuale, creando una sorta di interferenza continua;

4) difficilmente riescono a distinguere ciò che vero da ciò che non lo è, tutto diventa assolutamente credibile solo perché online e ripetuto in maniera ridondante.

Questi sono alcuni esempi di quello che accade ai ragazzi quando sono connessi. Li definirei “disarmati” perché mancano di competenze importanti e utili per approcciare nel modo corretto al mondo virtuale: parlo della capacità di darsi delle regole di comportamento, parlo della capacità di discriminare e scegliere nel mare magnum della rete ciò che è attendibile, utile, interessante e di valore da ciò che non lo è, parlo di pensiero critico. Attenzione però, perché non ne faccio una colpa ai ragazzi se non possiedono o non hanno ancora sviluppato queste capacità e competenze. Il fatto è che serve un certo grado di maturità per averle e semplicemente loro ancora non ce l’hanno perché stanno crescendo, sono in fase di formazione. Sarebbe come chiedere ad un neonato di alzarsi in piedi e fare una corsa. Non è possibile perché non ne ha le capacità.

Si tratta quindi di comprendere che un minore non ha ancora le abilità per gestire gli strumenti tecnologici.

Quale la soluzione allora? Li vietiamo finché non hanno raggiunto la giusta maturità come succede per esempio con la patente di guida?

Assurdo, se non impossibile da realizzare visto che le nuove tecnologie ormai fano parte integrante del nostro quotidiano e indietro non si può tornare. In alternativa allora ritorno alla mia idea di partenza: la collaborazione tra adulti e ragazzi. Finché un minore non ha acquisito le abilità necessarie a gestire in autonomia i dispositivi tecnologici dovremmo essere noi adulti ad accompagnarlo e aiutarlo nel mondo virtuale esattamente come da sempre facciamo nel mondo reale.

Ma è a questo punto che sorge un’altra domanda: “Quanti di voi adulti svolgono davvero questa funzione? Quanti stanno a fianco per osservare, informare, spiegare, aiutare, parlare, sorvegliare, sostenere finché non è arrivato il momento di lasciare andare?”

Posso già rispondere a questa domanda: pochissimi!!!

Cari genitori, insegnanti, educatori etc. etc. a questo punto non mettetevi sulla difensiva per quanto sto dicendo perché questo non è un mio punto di vista ma l’affermazione di almeno un centinaio di ragazzi della scuola secondaria di primo grado a cui ho posto la stessa domanda.

Tranne qualche raro caso, quasi tutti mi hanno risposto che il tempo online lo passano sempre da soli, senza nessun adulto che se ne occupi o stia loro accanto. Se ciò corrisponde al vero e non ho motivo di dubitarne ho un’altra domanda da porvi: “Perché noi adulti non ci stiamo occupando dell’educazione dei minori all’uso delle nuove tecnologie? Oppure perché deleghiamo ad altri tale funzione come ad esempio la scuola? Non ci rendiamo conto neanche noi di quanto e come usano tali strumenti, dei rischi a cui possono andare incontro? Non siamo abbastanza pronti, informati, preparati a svolgere tale compito o è troppo difficile e quindi stiamo rinunciando?”

Qualunque sia il motivo, rinunciare o delegare non mi sembra una buona soluzione o per lo meno la trovo molto rischiosa. Per questo la mia proposta continua ad essere la stessa: “Armiamoci e partiamo” ovvero prepariamoci, informiamoci, studiamo per insegnare, aiutare e stare davvero accanto alle nuove generazioni nell’utilizzo dei dispositivi digitali.

A, Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che ha scritto diversi libri sull’argomento, ha detto: “Voi consegnereste a vostro figlio minorenne le chiavi di una Ferrari e gli direste di andare a far un giro?”

Credo che la maggior parte di voi risponderebbe ovviamente di no. Ma allora perché consegnare nelle mani di un minore un dispositivo dalle infinite possibilità senza istruzioni per l’uso e senza la giusta preparazione?

Io nel mio piccolo, ho scelto di svolgere questo compito e fare il possibile per stare a fianco ed aiutare. Ora lascio a voi fare le dovute riflessioni sull’argomento e valutare se e come assolvere al ruolo educativo anche in questo ambito. Se vorrete condividere il vostro pensiero mi farà molto piacere.

A presto e restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

bambino con smartphone

Educazione all’affettività e sessualità.

Ciao a tutti,

a breve svolgerò un progetto di prevenzione sull’affettività e sessualità presso uno degli Istituti scolastici con cui collaboro e così sto consultando nuovi libri per prepararmi al confronto con i ragazzi. Alcuni genitori mi hanno chiesto di indicare qualche testo che li aiuti ad affrontare questo argomento con i loro figli perchè anche l’educazione sessuale è un aspetto della salute con cui ogni famiglia prima o poi entra in contatto ed è fondamentale essere preparati a dare informazioni e risposte adeguate.Per questo motivo oggi propongo questo testo di facile fruizione per tutti, che tocca un pò tutti gli aspetti dell’affettività e della sessualità, anche quelli più spinosi e che da semplici e chiare indicazioni su quali informazioni e quale linguaggio usare con bambini e ragazzi. Buona lettura a voi e restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

dav

LIBRI PASSIONE O TORTURA?

Ecco la mia prossima lettura, è arrivata ieri e non vedo l’ora di cominciarla!

E’ incredibile, sono 40 anni che leggo e studio eppure ogni volta che acquisto un nuovo libro è un’emozione pari a quella del primo giorno di scuola. Adoro la copertina e le pagine ancora immacolate, il profumo della carta stampata quando sfogli le pagine per la prima volta e la curiosità di sapere cosa ci sarà scritto tra quelle pagine. La lettura è una passione per me, se così non fosse, non sarei riuscita a completare gli studi, né potrei fare il mio lavoro che richiede un continuo aggiornamento.

Nei prossimi giorni magari vi parlerò del contenuto di questo libro in una mia personale recensione ma nel frattempo, pensando a quanto mi piace leggere, mi è tornata in mente una domanda che spesso mi viene posta dai genitori: “Come faccio a convincere mio figlio ad aprire un libro? Non lo fa mai, neanche per scuola, non gli piace e non gli interessa!”

Secondo il mio personale parere, non si può convincere qualcuno ad appassionarsi alla lettura perché potrebbe diventare una forma di costrizione e si finisce con odiare ciò che si è costretti a fare. Chi non ricorda quanto venivano detestati i libri che si dovevano per forza leggere a scuola come l’Iliade e l’Odissea, I promessi Sposi e la Divina Commedia? Eppure sono testi meravigliosi, opere d’arte che però cominci a capire ed apprezzare solo da adulto.

Io credo che la passione per la lettura nasca dall’incontro!

Da incontri fortunati con persone appassionate che ti fanno scoprire questo mondo senza importelo. Quando penso ai miei libri preferiti che ho letto nel corso della mia vita, sono tutti associati a qualcuno che me li ha fatti scoprire e amare. Ricordo per esempio la mia maestra delle elementari che ci leggeva Pinocchio ed io con la mente immaginavo i personaggi e quel mondo fantastico. Ricordo quando ho ricevuto in regalo per Natale da una persona cara un libro di racconti di Natale. Ricordo il gruppo di teatro al liceo che mia ha fatto apprezzare autori come Shakespeare e Pirandello.

Non sempre gli incontri sono fortunati perché si può incappare in libri che non ti piacciono, a me è successo qualche volta, ma in questo modo si impara a sviluppare il proprio gusto personale ed è comunque sempre utile allargare i propri orizzonti.

Insomma per appassionarsi alla lettura credo sia importante avere intorno sin dai primi giorni di vita persone che abbiano quella passione, quella curiosità, quella voglia di conoscere che ti spinge a prendere in mano un libro. E’ altrettanto importante che siano solo un esempio, un modello di comportamento da seguire, evitando qualsiasi forma di imposizione o costrizione con chi non ha ancora maturato un interesse per la lettura.

Con me questo sistema ha funzionato, spero succeda lo stesso anche a voi. Fatemi sapere in caso. Per oggi mi fermo qui ma vi raccomando….restate connessi!!!

Dr.ssa Pinton Michela

NUOVE TECNOLOGIE: GAP TRA GENITORI E NATIVI DIGITALI

Ciao a tutti, avevo promesso che avrei tratto spunto dall’ultimo corso di formazione a cui ho partecipato per parlare di alcuni argomenti che riguardano il ritiro sociale in adolescenza. Così oggi ho pensato di fare una riflessione sul gap che esiste tra i “nativi digitali” e tutti coloro che sono nati prima dell’avvento di internet e in particolare tra genitori e figli adolescenti che utilizzano i media digitali.

Partiamo dalla definizione di “nativi digitali” così come l’ha proposta per primo M. Prensky nel suo articolo “Digital natives, Digital immigrants” del 2001: sarebbero le persone nate e cresciute con la diffusione di massa delle tecnologie digitali, che considerano le tecnologie come un elemento naturale e non provano quindi alcun disagio nel manipolarle e interagire con esse.

Se consideriamo questa definizione verrà facile il paragone con chi invece è nato prima dell’era digitale. I cosiddetti “immigrati digitali” che sono nati prima dell’avvento di internet e che utilizzano le nuove tecnologie, riconosceranno di non sentirsi sempre a loro agio con questi strumenti, per quanto si dica siano intuitivi, né proveranno la stessa facilità nel loro utilizzo. Questo fatto crea già un primo divario tra i due gruppi. Se poi ci aggiungiamo che la velocità di innovazione del web non sempre permette di essere tempestivamente informati, aggiornati e competenti su questi strumenti, allora il gap si allarga sempre di più. E’ ciò che succede in particolare tra genitori e figli.

Ma come reagiscono i genitori alla difficoltà di stare al passo con i propri figli? Quali sono le conseguenze?

Dalle ricerche emergono 4 tipologie di genitori e nella mia esperienza lo posso confermare:

  1. Genitori proibizionisti = sono quei genitori che preoccupati dell’eccessivo utilizzo dei media digitali da parte dei figli decidono di togliere la connessione per un certo tempo o sempre. Purtroppo non si rendono conto che la socialità dei ragazzi si svolge in larga parte attraverso i device, quindi togliere questa possibilità significa tagliarli fuori dal gruppo dei pari proprio nella fase di crescita in cui la socialità è di primaria importanza.
  2. Genitori permissivi = sono quei genitori che si disinteressano di ciò che fanno i figli online o perché, come dicevo prima, non riescono a stare al passo con questa innovazione o perché sottovalutano alcuni rischi che possono derivare da un eccesivo o scorretto uso di questi mezzi. Di conseguenza i ragazzi vengono lasciati soli con in mano i media digitali, senza le dovute informazioni e con tutti i rischi che ne possono derivare.
  3. Genitori investigatori = sono quei genitori che da un lato danno ampia libertà ai figli nell’utilizzo delle nuove tecnologie ma dall’altro, molto spesso di nascosto, controllano tutto quello che fanno. In questo caso si creano due problemi, da un lato si ingannano i ragazzi e ciò può minare gravemente la loro fiducia verso i genitori, dall’altro si lede la privacy degli adolescenti, tema molto delicato e importante a questa età.
  4. Genitori responsabilizzati = sono quei genitori che approvano l’utilizzo delle nuove tecnologie ma a certe condizioni, come ad esempio tener presente quando e come usare i device a seconda dell’età, e promuovono un uso consapevole di questi strumenti. In questo caso i figli hanno il vantaggio di poter usare i media digitali ma imparando a farne un uso corretto e limitando così i possibili rischi.

Credo sia superfluo dire quale tra questi tipi sia quello a cui aspirare se si è genitori. Vi ripeto che come genitori è molto importante stare al passo, tenersi informati, aggiornarsi e acquisire nuove competenze rispetto all’utilizzo delle nuove tecnologie. Se non si è in grado di farlo da soli si può chiedere aiuto a degli esperti. Nel frattempo potete anche rivedere qualche mio vecchio post, in cui per esempio elencavo alcune regole di base da tener presente per un corretto utilizzo delle nuove tecnologie in età evolutiva.

Per ora non aggiungo altro ma vi aspetto tra qualche giorno con un nuovo argomento e, mi raccomando, restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

adolescente con smartphone

COME PRENDERSI CURA DELLA MENTE DI BAMBINI E RAGAZZI? Part. 2

Ciao a tutti,

ecco il secondo video dedicato all’età evolutiva. Vorrei condividere con tutti coloro che si occupano di bambini e ragazzi, in particolar modo con i genitori, strumenti e riflessioni per ripartire con il piede giusto in questa fase 2 dell’emergenza da COVID-19. Spero in questo modo di dare un mio piccolo contributo fino a che non potremmo tutti tornare ad uno stile di vita più vicino a quello pre corona virus. Grazie per l’attenzione e ……..RESTATE CONNESSI!