DAL LIBRO CUORE: LE LIFE SKILLS NELLA SCUOLA DI ALLORA E IN QUELLA DI OGGI.

Ciao a tutti, continuo la rassegna di post di riflessione e confronto tra la scuola di fine ‘800 e quella di oggi, prendendo spunto dal libro “Cuore” di E. De Amicis. Qualche articolo fa avevo anticipato che avrei parlato delle life skills, di come se ne parla nel libro citato e di come possono essere apprese nella scuola di oggi.

Cosa sono le life skills? Con questo termine si intende un insieme di abilità o competenze che si apprendono durante l’infanzia/adolescenza e che sono necessarie per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana.

Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) le life skills stimolano l’assunzione di responsabilità per la propria salute e potenziano le competenze psico-sociali e per tale motivo sono utili a prevenire problemi di tipo sanitario e comportamenti negativi o a rischio.

Le life skills possono essere innumerevoli, tuttavia l’OMS ha individuato un nucleo fondamentale di skills per la promozione del benessere di bambini e adolescenti: decision making, problem solving, creatività, senso critico, comunicazione efficace, abilità relazionali, autocoscienza, empatia, gestione delle emozioni, gestione dello stress.

Tali abilità possono essere insegnate attraverso l’apprendimento e la pratica. Nel libro Cuore è di nuovo il racconto il veicolo fondamentale per trasmettere tali competenze. I racconti mensili di cui è costellato il libro sembrano avere proprio questa funzione. Prendiamo ad esempio il racconto “Dagli Appennini alle Ande”: vi accorgerete che in questo racconto il protagonista si trova a prendere delle decisioni importanti, a risolvere diversi problemi, a relazionarsi e comunicare con persone diverse e straniere, a gestire eventi stressanti nonché le sue emozioni e spesso riesce ad entrare in empatia anche con gli estranei. Insomma in un racconto di poche pagine si trovano riferimenti alla maggior parte delle life skills e il protagonista del racconto diventa un modello apprendimento e utilizzo delle stesse.

Ma nella scuola di oggi vengono apprese le life skills e se sì come?

Diversi studi evidenziano che i giovani non siano sufficientemente equipaggiati delle skills necessarie per affrontare le richieste e gli stress che incontrano nel loro percorso di crescita e i meccanismi tradizionali attraverso cui si apprendevano tali competenze non funzionino più adeguatamente di fronte alla complessità creata dai profondi cambiamenti sociali e culturali come ad esempio l’avvento dell’era digitale e l’integrazione di etnie diverse.

Una possibile risposta è l’inserimento di specifici programmi di life skills education all’interno del percorso scolastico condotti da personale specializzato come gli psicologi.

Queste esperienze esistono e quando vengono applicate danno prove di utilità e efficacia, io stessa ho avuto la possibilità di condurre tali programmi in alcuni istituti scolastici con grande soddisfazione di alunni, insegnanti e genitori.

Fin qui tutto bene allora, penserete. E invece purtroppo devo deludervi perché se è vero che questi programmi ci sono, è anche vero che avrebbero bisogno di essere integrati nel piano scolastico di ogni grado di scuola, che dovrebbero avere una continuità temporale, che dovrebbero essere stanziati fondi per garantire questa continuità e che dovrebbero essere gestiti da personale competente che si integra e collabora quotidianamente con il resto del personale scolastico.

Purtroppo le cose non stanno così. Ancora questi progetti sono eventi sporadici e frammentari. Non fanno parte del piano scolastico perché si dà ancora troppo poco spazio alla prevenzione e alla costruzione di interventi a lungo termine di carattere generale. Non vengono stanziati fondi sufficienti per interventi di così ampio respiro anche se professionisti competenti sarebbero disponibili. Non c’è ancora sufficiente interesse per questi temi, i problemi che ne derivano non sono ancora largamente sentiti oppure se anche se si manifestano, si tende a rispondere solo con interventi di emergenza, mirati e a breve termine.

Insomma si tende a tamponare i problemi piuttosto che costruire dei percorsi di crescita per bambini e ragazzi graduali, continuativi ed efficaci. È un vero peccato. Nel mio piccolo cerco di spiegare e condividere che cosa significa davvero prevenzione ma mi rendo conto che non è sufficiente. Serve che una visione più ampia e un modo diverso di affrontare i problemi sia condiviso da tutti. Allora proviamo a condividere questo pensiero e nel frattempo………..restiamo connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

DAL LIBRO CUORE: IL MODELING NELLA SCUOLA DI ALLORA E IN QUELLA DI OGGI.

Ciao a tutti, continuo la rassegna di post di riflessione e confronto tra la scuola di fine ‘800 e quella di oggi, prendendo spunto dal libro “Cuore” di E. De Amicis. Nel mio precedente articolo avevo promesso che avremmo parlato di modeling.

Cosa si intende col termine modeling? Albert Bandura, noto psicologo, evidenziò come l’apprendimento potesse avvenire attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l’osservazione di altre persone. Bandura ha adoperato il termine modeling (imitazione) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello. Quindi il comportamento è il risultato di un processo di acquisizione delle informazioni provenienti da altri individui.

Nel libro Cuore quasi in ogni paragrafo un personaggio funge da modello di comportamento per gli altri personaggi presenti nella storia, partendo dagli adulti, come i maestri e i genitori, fino ad alcuni bambini che compiono qualche azione speciale. Inoltre ci sono una serie di racconti, dal “piccolo scrivano fiorentino” alla “vedetta lombarda” che hanno proprio la funzione di offrire dei modelli educativi da imitare.

In questo libro, il racconto delle storie e delle vicende di personaggi esemplari è lo strumento principe per educare i nuovi italiani. E. De Amicis scrive il libro Cuore per divulgare valori e modelli e questo libro viene adottato nella didattica scolastica per decenni con l’intento di promuovere sia negli adulti, che dovevano fare da esempio, che nei bambini e ragazzi che dovevano apprendere, stili di comportamento civili e adeguati ai vari contesti di vita.

Nella mia esperienza di scolara le cose sono andate proprio così ma il modeling non si limitava al contesto scolastico. Non solo genitori e insegnati erano adulti autorizzati ad educarmi ma ogni adulto che incontravo era un potenziale modello di comportamento da cui apprendere, dai vari membri della famiglia, agli allenatori sportivi, ai genitori dei miei amici, ai vicini di casa. Insomma la società per intero, esclusi ovviamente gli esempi diseducativi, assumeva su di sé il compito di educare le nuove generazioni.

Oggi è ancora così? Noi adulti ci sentiamo investiti di questo compito o abbiamo abdicato, delegato o limitato tale ruolo? Me lo domando perché nella mia esperienza professionale mi capita di imbattermi in casi diversi: persone che sostengono che dovrebbe essere solo la scuola deputata all’educazione, persone che sostengono che dovrebbe essere un compito esclusivo dei genitori, persone che delegano comunque ad altri l’educazione delle nuove generazioni. Sto parlando di casi ovviamente, non in generale, ma non vorrei che questi casi fossero il segnale di un problema più vasto ecco perché pongo queste domande. E se la risposta fosse che non è più l’intera società a sentirsi investita del ruolo educativo ma solo alcune persone, siamo sicuri che i giovani incontrino nel loro percorso di crescita sufficienti modelli di comportamento? Chi si occupa insomma di insegnare loro le life skills?

Le life skills, un altro interessante argomento di cui vi parlerò nel mio prossimo articolo. Per ora di lanciato una bella “patata bollente”, un quesito non facile a cui rispondere ma a me basta che ci si rifletta almeno un poco. Il mio intento come sempre è di introdurre degli argomenti di psicologia e lasciare a chi legge qualche spunto di riflessione senza la pretesa di avere la soluzione in tasca. Meditate quindi gente, meditate e se lo desiderate esprimete le vostre opinioni. Al prossimo post e restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

DAL LIBRO CUORE: LA SCUOLA DI OGGI A CONFRONTO CON QUELLA DI ALLORA. Part.2

Ciao a tutti, nell’articolo della scorsa settimana, prendendo spunto da una lettura del libro “Cuore”, avevo messo a confronto alcuni aspetti della scuola di oggi con quella di allora. Nello specifico era emerso che l’istinto di accudimento e protezione delle mamme di fine ‘800 non è molto diverso da quello delle mamme di oggi. A seguito di questa constatazione era però sorta una domanda con cui ci eravamo lasciati: “se i genitori di allora erano apprensivi e protettivi come quelli di oggi perché ultimamente non si fa che discutere sul fatto che si intromettono troppo nella vita scolastica dei loro figli? Vedi ad esempio le chat di classe o le ingerenze sulla didattica o i metodi di insegnamento! Oltre un secolo fa accadeva la stessa cosa oppure al giorno d’oggi questa situazione si è allargata e diventata più pervasiva?”

È difficile fare un confronto tra scuola di fine ‘800 e scuola del XXI° secolo perché i fattori da analizzare sono molteplici ma sempre nel libro “Cuore” ho letto un altro passo che mi ha fatto riflettere e che forse potrebbe avvicinarci ad una risposta. Ve lo riporto di seguito.

“Rispetta, ama il tuo maestro, figliuolo. Amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta; perché egli consacra la vita al bene di tanti ragazzi che lo dimenticheranno; amalo perché ti apre e t’illumina l’intelligenza e ti educa l’animo………Ama il tuo maestro perché appartiene a quella grande famiglia di cinquantamila insegnanti elementari……che preparano al nostro paese un popolo migliore del presente”.

Ciò che mi ha colpito in particolare di questo passo è la frase: “amalo perché tuo padre lo ama e lo rispetta”. Credo che sentimenti come amore e rispetto siano la base per costruire un rapporto di stima e fiducia con un’altra persona e se si riesce a far questo allora è possibile affidarsi con sicurezza nelle mani dell’altro. Rispetto, amore, stima sono quindi ingredienti fondamentali per costruire un rapporto di fiducia, un’intesa e uno scopo comune tra genitori e insegnanti. Credo siano le condizioni necessarie per permettere ai genitori di affidare l’educazione dei loro figli ai maestri che incontrano a scuola.

Nel passo che ho citato, il padre che parla, crede fermamente e si fida dei maestri e dell’istituzione scuola. Forse sono proprio tutti questi sentimenti (rispetto, stima, amore, fiducia) che fanno sì che un genitore non si intrometta, non interferisca o non invada troppo l’area di competenza di un insegnante ma lasci fare in piena sicurezza, fidandosi dell’operato di chi è più esperto.

Allora a questo punto pongo un’altra domanda: “i genitori di oggi provano gli stessi sentimenti di cui si parla nel passo che citato? I genitori di oggi si fidano ancora dei maestri e dell’istituzione scolastica?”

Devo ammettere che, grazie alla possibilità che ho di confrontarmi con tutti gli interlocutori dell’universo scuola, a volte ho l’impressione che questi sentimenti vengano un po’ a mancare, che il patto educativo tra scuola e famiglia si perda un poco. Quindi la domanda la giro a voi: “cari genitori non vi fidate più degli insegnanti? E se sì, perché? E che ricadute ha questa mancanza di fiducia sulla vita scolastica di vostro figlio?”

Sono tante domande che lascio aperte, me ne rendo conto ma sono domande importanti su cui è bene riflettere a lungo per trovare delle risposte. Forse condividendo le varie opinioni qualche risposta si può trovare perciò vi invito a scrivere, commentare, condividere i vostri pensieri e nel frattempo……restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

DAL LIBRO CUORE: LA SCUOLA DI OGGI A CONFRONTO CON QUELLA DI ALLORA. Part.1

Ciao a tutti,

dopo la pausa delle festività natalizie torno a scrivere qualche mia riflessione su questa pagina.

Qualche tempo fa, a seguito della partecipazione ad una conferenza sul valore educativo del libro “Cuore”, ho pensato di rileggerlo, dopo tanti anni, con uno sguardo diverso. Infatti sto cercando di fare un confronto tra la scuola di allora e quella di oggi.

È ovvio che dopo oltre un secolo la scuola sia cambiata ma vorrei scoprire se qualche punto in comune è rimasto, se il cambiamento è stato sempre in positivo e se qualcosa che andato perduto, forse sarebbe meglio recuperarlo.

A proposito di qualcosa che non è cambiato, nello scorrere le pagine ho trovato questa frase: “Povere maestre! E ancora le mamme a lagnarsi: come va, signorina, che il mio bambino ha perso la penna? Com’è che il mio non impara niente? Perché non dà la menzione al mio che sa tanto?…”

Che sorpresa, non me l’aspettavo! Anche le mamme di fine ‘800 erano apprensive e protettive come quelle di oggi. Pensavo invece si comportassero diversamente, che avessero una sorta di sacro timore reverenziale verso le istituzioni per cui evitassero di fare richieste o addirittura lamentele agli insegnanti. E invece, a quanto pare, “tutto il mondo è paese” e le mamme sono sempre mamme in qualunque posto e in qualunque epoca. L’istinto di protezione e accudimento verso i propri figli è sempre lo stesso.

Ma se questo aspetto non è cambiato nel corso del tempo, allora perché oggi si fa un gran parlare del fatto che i genitori si intromettono troppo nella vita scolastica dei loro figli?

Spesso si sente parlare delle “terribili chat di classe” dove i genitori discutono animatamente contro questa o quella decisione dell’insegnante o della scuola, di consigli di classe o di istituto che diventano delle sorte di trincee, di difesa ad oltranza del singolo alunno anche di fronte alle evidenze. Insomma sembra che in molti casi genitori e insegnanti si trovino su fronti opposti. Questo succede come accadeva oltre un secolo fa o la situazione è peggiorata, è diventata più generalizzata e pervasiva?

Voi che leggete cosa ne pensate? C’è qualche genitore tra voi che vuole esprimere la sua opinione?

Io ho cercato una risposta in altre pagine del libro e forse l’ho trovata ma ve ne parlerò nel mio prossimo post. Intanto ci rifletterei insieme a voi e come sempre vi raccomando….restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

IL RUOLO DELLA RELAZIONE INSEGNANTE-ALUNNO NELL’APPRENDIMENTO.

Ciao a tutti,

prendendo spunto da una conferenza sulla psicologia scolastica di qualche mese fa, oggi vorrei parlarvi dell’importanza che ha la relazione che si instaura tra un insegnante e un alunno per l’apprendimento.

Numerosi studi attestano che la costruzione di una buona relazione interpersonale tra insegnante e alunno ha delle ricadute positive sull’apprendimento perché migliorano aspetti come l’attenzione, la comprensione, l’interesse e la motivazione allo studio e così via. La costruzione di una buona relazione insegnante-alunno dovrebbe essere quindi la base di partenza su cui impostare la didattica.

Purtroppo non è sempre facile instaurare una buona relazione interpersonale perché entrano in gioco diversi fattori individuali, psicologici, ambientali e culturali che possono porsi come ostacoli a questo obiettivo.

In questo articolo vorrei focalizzare l’attenzione sull’insegnante e su come può agire per creare e mantenere una buona relazione con i suoi alunni.

Non è un compito facile perché l’insegnante si trova immerso in un contesto plurale e non in un rapporto diadico che pure dovrebbe cercare. Inoltre può essere trascinato dal susseguirsi degli eventi e osservare ciò che accade dal suo unico punto di vista, per citare solo alcune difficoltà.

Per ovviare a questi ostacoli uno psicologo scolastico potrebbe offrire la guida e il sostegno necessari per intraprendere la strada giusta, per migliorare aspetti come la reciprocità, la sensibilità, la sincronia da ambe le parti.

Gli interventi che potrebbero essere messi in atto sono molteplici:

  1. Si potrebbe lavorare sulla consapevolezza di sé in termini di emozioni, pensieri e comportamenti che si hanno nei confronti di un alunno. Le emozioni e i sentimenti che si provano verso un alunno hanno un impatto fondamentale sul modo di relazionarsi nei suoi confronti. Conoscere ciò che si prova permette di guidare il proprio comportamento;
  2. Si potrebbe lavorare sulla consapevolezza del proprio comportamento verbale e non verbale per essere sicuri di non inviare messaggi contradditori o negativi;
  3. Si potrebbe lavorare sullo sviluppare una visione dell’alunno basata su episodi specifici piuttosto che su un’idea generale ed avere un occhio più flessibile e aperto rispetto a tutte le caratteristiche dell’alunno stesso, senza focalizzarsi troppo solo su alcuni aspetti;
  4. Si potrebbe lavorare per migliorare il perspective taking, ovvero la capacità di mettersi nei panni degli altri e sulla teoria della mente, ovvero la capacità di leggere la mente dell’altro;
  5. Si potrebbe lavorare sullo sviluppare o migliorare la mentalizzazione dell’insegnante, ovvero la capacità di interpretare i comportamenti propri e altrui.

Come potete capire si potrebbe fare molto e i risultati potrebbero essere molto positivi. Per questo motivo continuo ad auspicare che lo psicologo possa diventare un giorno un elemento imprescindibile del sistema scolastico. Spero che condividiate la mia opinione e che sosteniate con me questa causa.

Per ora mi fermo qui e vi rimando al prossimo articolo. Restate connessi!

LA FATICA E’ UN REQUISITO INELUDIBILE DELL’APPRENDIMENTO OPPURE NO?

LA FATICA E’ UN REQUISITO INELUDIBILE DELL’APPRENDIMENTO OPPURE NO?

Ciao a tutti,

in questo articolo che prende spunto da una conferenza a cui ho assistito, vorrei parlarvi di come la fatica sia un requisito imprescindibile dal processo di apprendimento e di come la scuola di oggi in molti casi stia abbandonando questo concetto.

Alla recente Fiera delle Parole che si è svolta a Padova, ho partecipato ad una conferenza sul libro Cuore tenuta dal M. Fois. Tra i tanti argomenti trattati, uno è stato il confronto tra la scuola descritta dal libro Cuore e quella di oggi.

Ovviamente e giustamente la scuola è molto cambiata da quella di allora ma si è discusso se tale cambiamento sia sempre stato in meglio. Una delle affermazioni di M. Fois su questo punto è stata: “Da alcuni anni la parola fatica è stata bandita dalle nostre scuole!”

Secondo il relatore concetti come impegno, e fatica non si possono più neanche nominare a scuola e gli insegnanti si stanno trasformando in intrattenitori che fanno i salti mortali per rendere piacevoli e accattivanti le loro materie e lezioni, altrimenti non incontrano il gradimento degli studenti o rischiano di annoiarli.

Ammetto che sono d’accordo con questa opinione perché lavoro spesso a scuola e ho potuto constatare la difficoltà degli insegnanti di tenere accesa l’attenzione e la motivazione dei loro allievi. Io stessa faccio ogni sforzo possibile per rendere interessanti e dinamici i miei incontri in classe.

M. fois ha proseguito il suo intervento spiegando che in questo modo però ci troviamo di fronte ad un paradosso visto che la fatica è un elemento ineludibile dell’apprendimento. Non è possibile leggere, imparare, studiare, conoscere senza impegno e fatica. Allo stesso modo non è possibile trovare studenti a cui piaccia far fatica perché a nessuno piace. Quello che è successo per generazioni è che gli studenti si sono adattati o rassegnati a far fatica, chi più e chi meno ovviamente.

Quindi perché oggi non dovrebbe accadere la stessa cosa? Perché gli studenti di oggi non dovrebbero far fatica se questa è un requisito imprescindibile dell’apprendimento?

Forse questa domanda chiama in causa più noi adulti che i giovani studenti visto che per loro è naturale trovare lo studio difficile e faticoso.

Credo che siamo noi a voler slegare l’apprendimento dal concetto di fatica anche se è un’operazione impossibile. Per esempio mi capita che qualche genitore mi chieda: “Perché a mio figlio non piace studiare?” E io gli rispondo: “Perché a lei da bambino piaceva?”. Io ho dedicato tutta la mia vita allo studio quindi si può dedurre che mi piaccia e mi appassioni, eppure quando andavo a scuola non cantavo propriamente l’inno alla gioia quando era ora di fare i compiti. Da bambina preferivo giocare e da adolescente preferivo dedicarmi ai miei interessi e alle relazioni amicali e sentimentali. Niente di nuovo oggi sotto il sole. I giovani di oggi non sono diversi.

I motivi per cui noi adulti abbiamo deciso di evitare l’incombenza della fatica agli studenti di oggi possono essere diversi: per risultare più graditi ed avere la loro approvazione; per evitargli un compito gravoso; per paura di non essere amati e di entrare in conflitto; per proteggerli da una sofferenza; per procurargli solo esperienze piacevoli e così via.

Qualunque possa essere il motivo alla base di questa scelta la domanda che vi pongo sul finale è questa: “Siamo sicuri che eliminare la fatica dalla vita di bambini e ragazzi sia funzionale al loro crescita?”

Ricordiamoci che impegno e fatica sono “conditio sine qua non” per accedere alla vera conoscenza e alla comprensione della realtà. Quindi meglio un po’ di fatica oggi per avere adulti formati o meglio senza e adulti impreparati un domani? Io ci sto riflettendo e spero lo facciate anche voi. 

Se vi va potete condividere la vostra opinione nei commenti e nel frattempo restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

LA DAD: PUNTI DI FORZA E LIMITI. Parte 1

Salve a tutti,

come promesso, dopo la pausa estiva, torno a pubblicare articoli divulgativi, riflessioni e commenti nell’ambito della psicologia, che spero possano essere di pubblico interesse.

Forse ricorderete che fino a Giugno ho lavorato in un paio di Istituti Comprensivi di Padova e provincia come psicologa scolastica. Uno dei progetti per le classi della scuola secondaria di primo grado che sono stata incaricata di seguire si intitolava “I pericoli della rete”, che però io ho voluto trasformare in “Pro e contro delle nuove tecnologie”. Lungi da me infatti era l’intento di demonizzare le nuove tecnologie visto che mai come in questi ultimi due anni ci sono state così utili.

Nello stesso periodo in cui mi accingevo ad affrontare questo argomento in classe, per una singolare coincidenza, è arrivato un periodo di lock down e l’obbligo anche per me di utilizzare la dad.

Ripensando quindi a come presentare gli argomenti che volevo trattare e a come interagire con gli alunni attraverso il pc, ho subito capito che avrei dovuto buttare nel cestino metodi e strumenti per me consueti e cercare nuove strade. E così ho fatto!

Nella mia pratica professionale non è una novità usare le nuove tecnologie, lo faccio quotidianamente ma qui mi si presentava una sfida nuova: “Come interagire con un intero gruppo classe attraverso il computer senza far diventare il mio intervento una lezione didattica frontale? Come mantenere aperto il dialogo e il confronto? Come approfondire gli argomenti senza diventare noiosa?”

Lo strumento non era nuovo per me ma la sua applicazione in ambito scolastico diventava in quel momento una nuova esperienza da affrontare e così ho cominciato a informarmi su quante più possibilità potesse offrirmi. Ho scoperto infinite possibilità: programmi, app, piattarfome e così via. Qualcuna già la conoscevo, qualcun’altra confesso di no. E così ho cominciato a studiare, a prepararmi, ad applicarmi in questi nuovi strumenti rendendomi conto che c’è un mondo da scoprire e così tanto da sapere anche in virtù del fatto che le nuove tecnologie sono in continua evoluzione.

Ovviamente in poco tempo sono riuscita a trovare il modo di applicare solo qualcuno degli infiniti mezzi a disposizione e quando ho cominciato a confrontarmi con gli alunni mi sono resa conto di quanto loro sappiano usare questi mezzi in modo più immediato, intuitivo e abile di me. Anche quando non conoscono un programma, sono immediati nell’apprendere come utilizzarlo. Lo fanno in modo automatico, mentre io ci devo pensare, impiego più tempo.

E così la prima cosa che ho capito è che i ragazzi potevano essermi utili nel destreggiarmi con le nuove tecnologie. Mi sono chiesta: “Perché non uscire davvero dall’ottica docente-discente e metterci su un piano di vera collaborazione, dove i ragazzi sono gli esperti del funzionamento del mondo digitale e io l’esperta di come funziona la mente umana quando interagisce con questi strumenti e di quali abilità e competenze richiedono?”

Questa è la prima riflessione a cui sono arrivata nel corso di quella esperienza ma ce ne sono state altre ancora di cui vi vorrei parlare nel prossimo post. Nel frattempo, condividete con me che le nuove generazioni sono più abili di noi adulti nell’approcciare alle nuove tecnologie e che quindi è fondamentale per noi genitori, insegnanti, psicologi, educatori…..stare al passo con loro cercando il più possibile di informarci e aggiornarci?

Spero conveniate con me e che vi armiate, come faccio io, di tempo e pazienza per imparare e tenere il passo!

A presto con la seconda parte dell’articolo. Restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

“ALZARE LO SGUARDO”: PRESENTAZIONE E RIFLESSIONI SUL LIBRO DI SUSANNA TAMARO. Parte 2

Qualche giorno fa ho pubblicato la prima parte di un articolo che si concludeva con alcune domande. Riprendo da lì e concludo con la seconda e ultima parte di questa mia riflessione.

……Perché si sono dovuti semplificare così tanto i compiti dei bambini, tanto da non scrivere più neanche un semplice pensierino? La scrittrice ha ipotizzato che forse non abbiamo più tanta fiducia nelle loro capacità, che semplifichiamo la loro vita per evitare il più possibile errori e, sia mai, insuccessi o fallimenti. Ha introdotto il concetto di “genitori spazzaneve”, ossia quei genitori che cercano in tutti i modi di spianare la strada da qualsiasi ostacolo ai loro figli. Ma non è che evitando loro qualsiasi frustrazione in realtà non li prepariamo ad affrontare la vita che di per sé è fatta anche di ostacoli, problemi, imprevisti e così via? Non è che in questo modo li rendiamo solo più insicuri? Io credo proprio che sia così. Gli ostacoli servono per crescere, servono per mettersi alla prova e verificare se si hanno le capacità di superarli, servono per farci provare piacere, soddisfazione e senso di autoefficacia quando riusciamo a superarli e se per caso sbagliamo, servono comunque per capire l’errore e non ripeterlo, per rialzarsi e riprovare. Questo è crescere! Quindi cari genitori spazzaneve siete così sicuri di voler privare i nostri figli di questa possibilità? Siete davvero sicuri di non causare un danno peggiore poi, evitando una frustrazione oggi? Io quantomeno ci penserei a lungo.

Arriviamo alle ultime due voci: il mito della creatività e la perdita di una direzione del compito educativo. Nel corso degli anni a più riprese si sono succedute teorie educative che partivano dal presupposto che l’obiettivo educativo principale fosse lo sviluppo delle competenze attraverso le capacità creative del bambino. Premesso che si tratta di teorie che si sono tradotte in metodi didattici validati ed efficaci, secondo l’autrice però, in alcuni casi, queste teorie sono state un po’ travisate e di conseguenza la metodologia non è stata praticata nel modo più corretto. Un errore comune è quello di confondere la creatività con la libertà di fare quello che si vuole. Crescere e imparare in un contesto educativo creativo non significa non avere regole. Perfino nel Metodo Montessori, uno dei primi a basarsi su questo assunto, i bambini erano educati ad essere puliti, ordinati, ad avere rispetto di sé, degli altri e del materiale scolastico. Ciò significa darsi e condividere delle regole, che sono quelle della civile convivenza e che sono quelle che permettono poi di sviluppare la propria creatività. L’ordine e le regole sono fondamentali per crescere. E chi, se non gli insegnanti, è deputato al compito dare ordine e regole? Educare significa indicare la strada, fare da guida, significa assumersi la responsabilità e il rischio di insegnare ciò che è giusto e sbagliato, quale è il bene e quale è il male. Purtroppo lo scopo dell’educazione oggi si scontra con l’idea di libertà, cioè con la convinzione che ognuno debba essere libero di fare le proprie scelte e così anche i bambini. In questo modo però si abdica al ruolo di educatore e non si trasmettono più valori importanti. E ancora mi vengono delle domande. Siamo sicuri che un bambino sappia da solo scegliere autonomamente la sua strada quando non gli abbiamo trasmesso alcun valore? E’ davvero così sbagliato indicare la strada e aspettare che un bambino diventi maturo abbastanza per poter scegliere da solo? Io sono cresciuta in un periodo in cui erano gli adulti di riferimento a scegliere per me e a dirmi cosa potevo o non potevo fare, cosa era giusto e cosa sbagliato. Magari non sarò stata sempre d’accordo ma non ho mai vissuto in maniera traumatica l’educazione che mi veniva impartita, né ho mai sofferto per la limitazione della libertà. Semplicemente mi fidavo e affidavo a chi mi voleva bene, si occupava di me e aveva più esperienza di me. Ciò non mi ha impedito, crescendo di sviluppare un mio pensiero e, da adulta, di fare le mie scelte, a volte in linea con i valori che mi sono stati trasmessi e altre no. E se riguardo indietro, sono grata a mia madre, alla mia maestra, ai miei nonni che in alcuni casi hanno scelto per me anche contro il mio parere, perché mi hanno preservato da errori che avrei sicuramente commesso. Ringrazio i miei educatori per essersi assunti loro la responsabilità e, perché no, anche il rischio di indicarmi la strada, perché senza di loro non sarei quella che sono oggi e credo, modestamente, che abbiamo fatto un buon lavoro.

Bene credo di aver dato tanti spunti su cui riflettere perciò, vi lascio a vostri pensieri che se vorrete condividere, mi farà molto piacere. Buona giornata a tutti e al prossimo post!

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“ALZARE LO SGUARDO”: PRESENTAZIONE E RIFLESSIONI SUL LIBRO DI SUSANNA TAMARO. Parte 1

Recentemente ho partecipato a diverse conferenze della “Fiera delle parole” che si è tenuta a Padova nel mese di Ottobre. Tra le tante ho assistito alla presentazione dell’ultimo libro di Susanna Tamaro e vorrei condividere con voi quello che ho capito e le mie riflessioni.

Nel libro “Alzare lo sguardo” di Susanna Tamaro si sviluppa un confronto tra la scuola di alcuni anni fa, cioè di quando lei era una studentessa, e la scuola di oggi. L’autrice si trova spesso a frequentare gli istituti scolastici visto che ha scritto diversi libri per bambini.

S. Tamaro ha presentato questo libro partendo da una sua considerazione personale: secondo la sua esperienza i bambini sembrano molto più infelici, nevrotici e pieni di problemi psicologici rispetto ad un tempo e la scuola soprattutto la primaria sembra ormai in caduta libera. Si è quindi interessata di comprendere o ipotizzare quali possono essere le cause di questa situazione e ne ha proposte alcune: presenza di diversi insegnanti già alla scuola elementare, ipersemplificazione dei compiti, presenza di genitori “spazzaneve”, “mito della libertà creativa” dei bambini e perdita di una direzione precisa nel compito educativo.

Ora provo ad entrare nel dettaglio e ad esprimere un mio pensiero.

Secondo S. Tamaro la scuola primaria è un passaggio di crescita fondamentale per i bambini e, in passato, la presenza di un’unica maestra per tutti cinque gli anni costituiva un punto di riferimento importante. La maestra unica era una figura di riferimento autorevole e autoritaria per tutti, bambini e genitori. Il termine “autoritaria”, all’epoca, non aveva quell’accezione negativa che ha oggi e per il quale non può più essere utilizzato, ma serviva ad indicare una persone che aveva capacità e potere di gestione della classe e che veniva rispettata e ascoltata da tutti. Magari i bambini potevano avere un po’ di timore reverenziale di fronte a questa figura ma, personalmente credo fosse sano e giusto. Oggi è evidente che il sistema scolastico è molto cambiato per cui è utopico pensare di ritornare alla maestra unica ma condivido l’idea che una figura di riferimento ci debba essere, qualcuno che segua i bambini per tutta la scuola primaria, qualcuno che li possa quindi conoscere in maniera approfondita e che possa quindi aiutarli e guidarli nel modo migliore. Non condivido affatto questo continuo cambio di insegnanti non solo da un anno all’altro ma a volte anche in uno stesso anno scolastico. Questi continui e repentini cambiamenti credo non siano in linea con il bisogno di stabilità e sicurezza dei bambini.

Per quanto riguarda l’ipersemplificazione didattica, l’autrice ha raccontato di aver preso visione dei compiti che svolgono i bambini e dei libri di testo sui quali studiano e ha riscontrato un grande differenza rispetto al passato. I libri risultano caotici, pieni di immagini, di schemi, di brevissimi riassunti, praticamente la copia venuta male del computer. Ho avuto modo di osservarli anch’io e la sensazione che ho provato è di frammentazione delle idee. I concetti ci sono pure ma non trovo un filo logico, una connessione, un senso di coesione del testo e chi riesce a fare questo tipo di elaborazione? Può riuscirci un bambino? I testi che ricordo io, magari potevano essere meno accattivanti da un punto di vista grafico e con meno immagini, ma contenevano dei testi unici, completi, esaustivi dai quali tu dovevi ricavare le informazioni importanti.

Per non parlare che alcune tecniche di apprendimento sono sparite: pensiamo per esempio alle vecchie cornicette, alle pagine e pagine di lettere da scrivere in bella grafia (la calligrafia), al corsivo, alla scrittura dei pensierini. Adesso esistono le schede! Quintali e quintali di schede precompilate (e tralascio il fastidio per lo spreco di carta) dove i bambini sono tenuti solo ad inserire delle parole o delle crocette. Perché le vecchie tecniche sono sparite? Sono così obsolete?! S. Tamaro invitava a riflettere però sull’utilità di alcuni di questi strumenti di apprendimento e io concordo. Per esempio cornicette e calligrafia sono esercizi fondamentali per lo sviluppo della coordinazione oculomotoria, della motricità fine e del cervello in generale. Avete notato quanti bambini oggi non sanno tenere bene una penna in mano? Avete notato quanti non scrivono più in corsivo? Vi siete chiesti quali possono essere le conseguenze di queste scelte? E perché si sono dovuti semplificare così tanto i compiti dei bambini, tanto da non scrivere più neanche un semplice pensiero?

Le risposte a queste domande e altre riflessioni le troverete nella seconda parte di questo articolo che pubblicherò presto. Stay tuned!

Dr.ssa Pinton Michela