E per la serie “Sempre sul pezzo”, questo è l’ultimo webinar a cui ho partecipato.
Il messaggio più importante che mi sono portata a casa e che vorrei condividere con tutti, insegnanti, dirigenti, personale scolastico e genitori, è che anche noi psicologi siamo stati travolti da questa pandemia come tutti voi e ne paghiamo le conseguenze come chiunque altro. Nonostante questo entriamo nelle scuole con il desiderio e la volontà di portare il nostro aiuto e sostegno a tutti. Abbiamo bisogno però anche noi del vostro aiuto e della vostra collaborazione. Il peso di tutti i problemi non può essere scaricato sulle spalle di quell’unico psicologo che è riuscito ad entrare quest’anno a scuola. Cerchiamo invece di fare squadra, di collaborare, di sostenerci a vicenda e di fare ognuno la sua parte e sicuramente le cose andranno meglio!
Nella mia esperienza di quest’anno scolastico ho vissuto sia la prima che la seconda situazione. Ovviamente nel secondo caso le cose sono andate per il verso giusto sin dai primi passi, nel primo ho dovuto far capire che, come al solito, “non possiedo bacchette o poteri magici” per risolvere i problemi. Ma devo ammettere che sono stata compresa subito, bastava solo parlarsi apertamente e spiegarsi e tutto è andato a buon fine.
Quindi il mio bilancio è assolutamente positivo finora. Manca ancora un mese e mezzo alla fine, il lavoro è tanto così come la fatica, ma le soddisfazioni sono molte di più, quindi vento in poppa (se non ci fermano di nuovo) e si viaggia dritti verso l’orizzonte!
Qualche giorno fa ho
pubblicato la prima parte di un articolo che si concludeva con alcune domande.
Riprendo da lì e concludo con la seconda e ultima parte di questa mia
riflessione.
……Perché si sono dovuti
semplificare così tanto i compiti dei bambini, tanto da non scrivere più
neanche un semplice pensierino? La scrittrice ha ipotizzato che forse non abbiamo più tanta fiducia nelle
loro capacità, che semplifichiamo la loro vita per evitare il più possibile
errori e, sia mai, insuccessi o fallimenti. Ha introdotto il concetto di “genitori spazzaneve”, ossia quei
genitori che cercano in tutti i modi di spianare la strada da qualsiasi
ostacolo ai loro figli. Ma non è che evitando loro qualsiasi frustrazione in
realtà non li prepariamo ad affrontare la vita che di per sé è fatta anche di
ostacoli, problemi, imprevisti e così via? Non è che in questo modo li rendiamo
solo più insicuri? Io credo proprio che sia così. Gli ostacoli servono per crescere, servono per mettersi alla prova e
verificare se si hanno le capacità di superarli, servono per farci provare
piacere, soddisfazione e senso di autoefficacia quando riusciamo a superarli e
se per caso sbagliamo, servono comunque per capire l’errore e non ripeterlo,
per rialzarsi e riprovare. Questo è crescere! Quindi cari genitori
spazzaneve siete così sicuri di voler privare i nostri figli di questa
possibilità? Siete davvero sicuri di non causare un danno peggiore poi,
evitando una frustrazione oggi? Io quantomeno ci penserei a lungo.
Arriviamo alle ultime due
voci: il mito della creatività e la perdita
di una direzione del compito educativo. Nel corso degli anni a più riprese
si sono succedute teorie educative che partivano dal presupposto che
l’obiettivo educativo principale fosse lo sviluppo delle competenze attraverso
le capacità creative del bambino. Premesso che si tratta di teorie che si sono
tradotte in metodi didattici validati ed efficaci, secondo l’autrice però, in
alcuni casi, queste teorie sono state un po’ travisate e di conseguenza la
metodologia non è stata praticata nel modo più corretto. Un errore comune è quello di confondere la creatività con la libertà di
fare quello che si vuole. Crescere e imparare in un contesto educativo creativo
non significa non avere regole. Perfino nel Metodo Montessori, uno dei
primi a basarsi su questo assunto, i bambini erano educati ad essere puliti,
ordinati, ad avere rispetto di sé, degli altri e del materiale scolastico. Ciò
significa darsi e condividere delle regole, che sono quelle della civile
convivenza e che sono quelle che permettono poi di sviluppare la propria
creatività. L’ordine e le regole sono fondamentali per crescere. E chi, se non gli insegnanti, è deputato al
compito dare ordine e regole? Educare significa indicare la strada, fare da
guida, significa assumersi la responsabilità e il rischio di insegnare ciò che
è giusto e sbagliato, quale è il bene e quale è il male. Purtroppo lo scopo
dell’educazione oggi si scontra con l’idea di libertà, cioè con la convinzione
che ognuno debba essere libero di fare le proprie scelte e così anche i bambini.
In questo modo però si abdica al ruolo di educatore e non si trasmettono più
valori importanti. E ancora mi vengono delle domande. Siamo sicuri che un
bambino sappia da solo scegliere autonomamente la sua strada quando non gli abbiamo
trasmesso alcun valore? E’ davvero così sbagliato indicare la strada e
aspettare che un bambino diventi maturo abbastanza per poter scegliere da solo?
Io sono cresciuta in un periodo in cui erano gli adulti di riferimento a
scegliere per me e a dirmi cosa potevo o non potevo fare, cosa era giusto e
cosa sbagliato. Magari non sarò stata sempre d’accordo ma non ho mai vissuto in
maniera traumatica l’educazione che mi veniva impartita, né ho mai sofferto per
la limitazione della libertà. Semplicemente mi fidavo e affidavo a chi mi
voleva bene, si occupava di me e aveva più esperienza di me. Ciò non mi ha
impedito, crescendo di sviluppare un mio pensiero e, da adulta, di fare le mie
scelte, a volte in linea con i valori che mi sono stati trasmessi e altre no. E
se riguardo indietro, sono grata a mia madre, alla mia maestra, ai miei nonni
che in alcuni casi hanno scelto per me anche contro il mio parere, perché mi
hanno preservato da errori che avrei sicuramente commesso. Ringrazio i miei
educatori per essersi assunti loro la responsabilità e, perché no, anche il
rischio di indicarmi la strada, perché senza di loro non sarei quella che sono
oggi e credo, modestamente, che abbiamo fatto un buon lavoro.
Bene credo di aver dato tanti spunti su cui riflettere perciò, vi lascio a vostri pensieri che se vorrete condividere, mi farà molto piacere. Buona giornata a tutti e al prossimo post!
pesentazione libro susanna tamaro fiera delle parole padova
Recentemente ho partecipato a
diverse conferenze della “Fiera delle parole” che si è tenuta a Padova nel mese
di Ottobre. Tra le tante ho assistito alla presentazione dell’ultimo libro di
Susanna Tamaro e vorrei condividere con voi quello che ho capito e le mie
riflessioni.
Nel libro “Alzare lo sguardo” di Susanna Tamaro si sviluppa un confronto tra la scuola di alcuni anni
fa, cioè di quando lei era una studentessa, e la scuola di oggi. L’autrice si trova
spesso a frequentare gli istituti scolastici visto che ha scritto diversi libri
per bambini.
S. Tamaro ha presentato
questo libro partendo da una sua considerazione personale: secondo la sua
esperienza i bambini sembrano molto più
infelici, nevrotici e pieni di problemi psicologici rispetto ad un tempo e la
scuola soprattutto la primaria sembra ormai in caduta libera. Si è quindi
interessata di comprendere o ipotizzare quali
possono essere le cause di questa situazione e ne ha proposte alcune: presenza
di diversi insegnanti già alla scuola elementare, ipersemplificazione dei
compiti, presenza di genitori “spazzaneve”, “mito della libertà creativa” dei
bambini e perdita di una direzione precisa nel compito educativo.
Ora provo ad entrare nel
dettaglio e ad esprimere un mio pensiero.
Secondo S. Tamaro la scuola
primaria è un passaggio di crescita fondamentale per i bambini e, in passato, la
presenza di un’unica maestra per tutti cinque gli anni costituiva un punto di
riferimento importante. La maestra unica era una figura di riferimento
autorevole e autoritaria per tutti, bambini e genitori. Il termine “autoritaria”,
all’epoca, non aveva quell’accezione negativa che ha oggi e per il quale non
può più essere utilizzato, ma serviva ad indicare una persone che aveva
capacità e potere di gestione della classe e che veniva rispettata e ascoltata
da tutti. Magari i bambini potevano avere un po’ di timore reverenziale di
fronte a questa figura ma, personalmente credo fosse sano e giusto. Oggi è
evidente che il sistema scolastico è molto cambiato per cui è utopico pensare
di ritornare alla maestra unica ma condivido l’idea che una figura di
riferimento ci debba essere, qualcuno che segua i bambini per tutta la scuola
primaria, qualcuno che li possa quindi conoscere in maniera approfondita e che
possa quindi aiutarli e guidarli nel modo migliore. Non condivido affatto
questo continuo cambio di insegnanti non
solo da un anno all’altro ma a volte anche in uno stesso anno scolastico.Questi continui e repentini cambiamenti
credo non siano in linea con il bisogno di stabilità e sicurezza dei bambini.
Per quanto riguarda l’ipersemplificazione didattica,
l’autrice ha raccontato di aver preso visione dei compiti che svolgono i
bambini e dei libri di testo sui quali studiano e ha riscontrato un grande
differenza rispetto al passato. I libri
risultano caotici, pieni di immagini, di schemi, di brevissimi riassunti,
praticamente la copia venuta male del computer. Ho avuto modo di osservarli
anch’io e la sensazione che ho provato è di frammentazione delle idee. I
concetti ci sono pure ma non trovo un filo logico, una connessione, un senso di
coesione del testo e chi riesce a fare questo tipo di elaborazione? Può
riuscirci un bambino? I testi che ricordo io, magari potevano essere meno
accattivanti da un punto di vista grafico e con meno immagini, ma contenevano
dei testi unici, completi, esaustivi dai quali tu dovevi ricavare le
informazioni importanti.
Per non parlare che alcune tecniche di apprendimento sono sparite: pensiamo per esempio alle vecchie cornicette, alle pagine e pagine di lettere da scrivere in bella grafia (la calligrafia), al corsivo, alla scrittura dei pensierini. Adesso esistono le schede! Quintali e quintali di schede precompilate (e tralascio il fastidio per lo spreco di carta) dove i bambini sono tenuti solo ad inserire delle parole o delle crocette. Perché le vecchie tecniche sono sparite? Sono così obsolete?! S. Tamaro invitava a riflettere però sull’utilità di alcuni di questi strumenti di apprendimento e io concordo. Per esempio cornicette e calligrafia sono esercizi fondamentali per lo sviluppo della coordinazione oculomotoria, della motricità fine e del cervello in generale. Avete notato quanti bambini oggi non sanno tenere bene una penna in mano? Avete notato quanti non scrivono più in corsivo? Vi siete chiesti quali possono essere le conseguenze di queste scelte? E perché si sono dovuti semplificare così tanto i compiti dei bambini, tanto da non scrivere più neanche un semplice pensiero?
Le risposte a queste domande e altre riflessioni le troverete nella seconda parte di questo articolo che pubblicherò presto. Stay tuned!
Negli articoli più recenti mi
sono soffermata sul ruolo dello psicologo
scolastico e sui suoi possibili interventi. Un ambito di lavoro che ha
preso sempre più piede negli ultimi anni riguarda i progetti di integrazione nelle classi multiculturali. Vediamo nello
specifico cosa comporta occuparsi di questo particolare problema.
Partiamo con una premessa. Dati del MIUR ci dicono che il numero
di bambini stranieri a scuola è
costantemente in crescita. Negli ultimi anni c’è stato un incremento del 10% in tutto il territorio italiano e in particolare
nel centro-nord. Spesso si tratta di bambini nati in Italia ma che si trovano
ad affrontare una crisi di appartenenza tra il contesto familiare/cultura
d’origine e il paese dove vivono.
Gli insegnanti che lavorano in classi multiculturali
si trovano ad affrontare diversi tipi di problemi che non riguardano solo la lingua ma anche molti
altri aspetti come la storia d’immigrazione famigliare, i problemi attraversati
dalle famiglie d’origine e la cultura fatta di regole, usanze, tradizioni,
modalità di interazione, credenze, percezioni, assunzioni, valori e priorità
che possono essere molto diverse dalle nostre. Bisogna sempre tener presente
che le pratiche culturali si
ripercuotono sulle esperienze relazionali e sociali. Ciò significa che gli
insegnanti si trovano davanti ad un contesto
ricco di sfide che richiede grande preparazione, tecniche speciali e molta
pratica.
Le domande che bisognerebbe porsi
quando si costruisce un intervento di integrazione culturale dovrebbero essere:
Quali sono le
caratteristiche di questo bambino? (Perché ogni bambino è a sé)
Come è composta
la sua famiglia e quali sono le caratteristiche della famiglia?
Quali legami ha
io bambino con il suo mondo d’origine?
Che relazione c’è
tra la famiglia e la scuola? Chiusura e difesa, assimilizzazione e accettazione
oppure cooperazione e integrazione?
Anche in questo tipo
d’interventi lo psicologo può
affiancarsi agli insegnanti e sostenerli nel loro compito. Sono già state
indicate da tempo delle linee guida sia
europee che italiane da seguire per migliorare il benessere, l’integrazione
e l’apprendimento delle classi multiculturali.
L’obiettivo
di questi progetti è fornire uguali opportunità
a tutti gli alunni secondo le loro specifiche differenze creando strategie
educative adatte ai vari casi.
Lo psicologo ha la funzione
di aiutare gli insegnanti a modificare
curricula, attività didattiche, stili educativi e credenze in relazione ai
singoli alunni che compongono la classe. Bisogna infatti tener sempre presente
che l’apprendimento funziona solo quando
è veicolato da un canale culturale condiviso.
L’unico problema che si presenta solitamente è la scarsità di risorse economiche per cui gli interventi di integrazione scolastica sono brevi e insufficienti rispetto ai reali bisogni della scuola ma, come già ribadito più volte nei miei articoli precedenti, al momento questa è la situazione e questo è il massimo che si riesce a fare. Come sempre tutti speriamo in una riforma che inserisca finalmente lo psicologo a scuola.
Negli ultimi giorni vi ho
parlato della funzione dello psicologo
scolastico e delle attività che svolge e potrebbe svolgere a scuola. In
questo articolo vi parlerò di come lo
psicologo può promuovere il benessere a scuola.
Il benessere degli alunni in
ambito scolastico è un prerequisito
essenziale su cui si dovrebbe basare tutto il lavoro della scuola perché d
esso dipende il rendimento scolastico e la possibilità per gli alunni di
costruire relazioni positive.
Ma cosa si intende per “benessere”
a scuola?
Il benessere in ambito scolastico in realtà è dato da
un insieme di fattori come:
Provare emozioni
positive;
Provare senso di
competenza e autoefficacia nel fare le cose;
Avere buone
capacità di comunicazione;
Provare un senso
di appartenenza;
Partecipare ad
attività comuni e collaborare;
Saper gestire i
conflitti;
Essere parte di
un’organizzazione complessa come lo è la scuola.
I primi due punti riguardano aspetti intrapsichici individuali
mentre gli altri riguardano la sfera
interpersonale ovvero le relazioni che si instaurano con gli altri all’interno
della scuola.
Per promuovere il benessere a
scuola sono state tracciate delle linee
guida a livello internazionale che prevedono un intervento strategico su più fronti:
Sui singoli individui;
Sulla classe (per esempio con interventi di
alfabetizzazione emotiva);
Sulla scuola (per esempio riorganizzando gli ambienti
di apprendimento, inserendo concetti di psicologia nelle attività curriculari,
usando l’apprendimento cooperativo oppure coinvolgendo i giovani per migliorare
le loro relazioni);
Sulla famiglia.
Appare evidente che per
rendere questi interventi efficaci sono necessari progetti continui e duraturi, non a spot come purtroppo ancora
accade nelle scuole a causa delle scarse risorse a disposizione.
Siamo, ahimè, ancora lontani dal poter realizzare progetti così strutturati e prolungati nel tempo ma come categoria professionale stiamo premendo per arrivare al risultato desiderato. Tuttavia, non mi stancherò mai di dirlo, non basta l’impegno di noi psicologi ma serve la collaborazione di tutti, famiglie e scuola. Confido nel fatto che questo sia un obiettivo comune e che prima o poi lo raggiungeremo. Nel frattempo se avete commenti o domande, scrivete pure. A presto!
In questo post vi parlerò di un argomento di cui gli psicologi si occupano in ambito scolastico già da alcuni anni: l’educazione all’affettività e sessualità con i suoi pro e i suoi contro.
Nel precedente post vi ho parlato dei possibili interventi che lo psicologo potrebbe svolgere in ambito scolastico. Uno degli argomenti di cui la psicologia scolastica si occupa già da tempo è l’educazione all’affettività e sessualità. Questo argomento purtroppo però viene solitamente trattato in modo limitato e sporadico, non solo per colpa delle scarse risorse finanziarie della scuola, ma a causa di alcuni pregiudizi che ancora persistono negli adulti intorno a questo tema come ad esempio: “ai bambini non serve che si tratti questo argomento a scuola” oppure “la sessualità è un processo naturale e quindi non serve spiegarlo”.
Mi sembra una visione un po’ miope se ricordate alcuni dati di ricerca sul tema “Giovani e sessualità” che vi avevo riportato qualche tempo fa. Giusto per rispolverare la memoria ne ricordo qualcuno:
L’età media in
cui i giovani vivono le prime esperienze sessuali si è abbassata;
I giovani
dimostrano di avere scarse conoscenze circa la sessualità;
Le informazioni
che i giovani hanno sulla sessualità le ricavano principalmente da internet.
Riflettendo su questo ultimo punto bisogna tener presente che i minori hanno facile accesso ai dispositivi elettronici con tutti i loro contenuti, tra cui messaggi pornografici e pornosoft subliminali e non come quelli che sono presenti in molti videogiochi, ma hanno scarse competenze nel loro utilizzo. L’accesso libero e smodato alla rete comporta alcuni rischi tra qui quello di poter interagire con dei pedofili.
Credo possiate capire da voi quanto diventa importante la figura professionale dello psicologo nel trattare questo argomento.Ovviamente questo tipo d’intervento non dovrebbe essere limitato ad una discussione sulla dimensione biologica della sessualità o una semplice descrizione dell’apparato genitale. L’affettività e la sessualità comprendono molteplici dimensioni e tutte concorrono allo sviluppo dell’identità dei ragazzi. Pertanto gli psicologi che si occupano di affettività e sessualità a scuola solitamente toccano tutte le dimensioni:
Ludica (ricerca
del piacere, curiosità al posto di trasgressione);
Valoriale (dare
un senso e un significato ad ogni azione e saper valutare cosa è bene e cosa no
per sé stessi secondo il proprio sistema di valori);
Culturale (al
giorno d’oggi ci si confronta con l’esposizione mediatica e sdoganamento della
sfera privata).
Sebbene tutti questi argomenti vengano trattati nei progetti scolastici purtroppo, come vi avevo anticipato, il tempo che lo psicologo ha per farlo è molto limitato. Per questo motivo sarebbe auspicabile, in questo tipo d’interventi ma anche per altri argomenti, seguire delle linee guida:
Fare in modo che
i progetti siano a lunga scadenza e liberi dall’ossessione di risultati
miracolosi in tempi brevi, in fondo parliamo di temi che i giovani riescono ad
elaborare nel corso del tempo;
Cercare di
integrare tutte le conoscenze e le esperienze di tutte le parti (psicologi,
insegnanti, alunni genitori);
Tener sempre
presente la realtà che i giovani stanno vivendo e i loro reali bisogni, dar loro
la possibilità di esprimerli senza il dubbio di essere giudicati;
Concentrarsi più
sulle persone e le loro esigenze che sul progetto in sé stesso.
Spero che un giorno si possa arrivare a questo risultato e rinnovo la mia convinzione che lo psicologo scolastico dovrebbe essere una figura professionale fissa e stabile all’interno della scuola per seguire questo tipo di progetti e per tanti altri motivi. Voi che ne pensate?
Questo argomento mi tocca
personalmente viste le mie esperienze professionali in diverse scuole del
Veneto. Cari lettori, in questo post vorrei aiutarvi a capire quale è attualmente il ruolo dello psicologo in
ambito scolastico e quali sono gli obiettivi a cui la mia categoria
professionale, ma non solo, tende a raggiungere.
L’Ordine degli Psicologi sia a livello regionale che
nazionale da circa vent’anni si sta battendo per l’inserimento dello psicologo
nella scuola italiana. Questo non è
un desiderio solo di noi professionisti ma una richiesta che, secondo le
indagini più recenti, arriva dal 61,3% della popolazione.
Vi faccio una premessa sulla situazione della scuola e sulle possibilità di intervento degli psicologi in questo momento. Dalle interviste agli insegnanti delle scuole italiane emerge sempre di più l’esigenza di un supporto maggiore da parte degli psicologi in relazione all’aumento di alcune difficoltà che riguardano la gestioni di classi sempre più problematiche. I diversi disagi degli studenti finiscono con l’influire pesantemente con lo svolgimento delle normali attività didattiche e quindi con l’apprendimento degli studenti. I disagi manifestati dagli alunni solitamente hanno a che fare con la scarsa tolleranza alle frustrazioni (sempre più diffusa), con l’eccessivo individualismo e con problemi emotivi e comportamentali. A fronte di queste difficoltà i vecchi metodi educativi sembrano non avere più efficacia.
Mentre nella maggior parte dei paesi europei lo
psicologo è regolarmente inserito in ogni scuola come dipendente della pubblica
istruzione, in Italia dal 2017 è aperto al MIUR un tavolo tecnico per valutare
l’ipotesi di fare altrettanto ma al
momento i lavori non sono ancora conclusi e siamo ancora lontani dal varare un
legge in proposito. Per questo motivo, al momento, lo psicologo scolastico in Italia è un libero professionista che lavora
in maniera autonoma e con contratti a progetto di tempi assai brevi. Questo
accade anche in virtù delle scarse risorse che vengono destinate al sistema
scolastico. I progetti di cui si
occupano negli ultimi anni gli psicologi a scuola riguardano: CIC
(sportelli d’ascolto), alfabetizzazione emotiva, educazione all’affettività e
sessualità, bullismo e cyberbullismo, abuso di sostanze e nuove dipendenze,
orientamento ed inoltre la stesura dei BES (bisogni educativi speciali) e la
presa in carico di casi di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento).
Potete capire da voi che un intervento così frammentato e limitato
da parte degli psicologi non riesce a supportare adeguatamente le necessità
complesse del mondo scolastico odierno. Ci sarebbe bisogno di una presenza
continua e quotidiana, esattamente come avviene negli altri paesi europei e
l’intervento dello psicologo non riguarderebbe più solo la gestione e
risoluzione di casi specifici ma si potrebbe estendere ad altre attività utili.
Vi voglio quindi esporre una panoramica
di proposte che, come categoria professionale, saremmo disposti a mettere
in campo, qualora ce ne fosse data la possibilità. Le attività che potremmo esercitare nell’ambito scolastico sono:
Formazione degli
insegnanti rispetto ai processi mentali
coinvolti nell’apprendimento e patologie specifiche dell’età evolutiva;
Formazione degli
insegnanti per creare programmi di
potenziamento delle risorse degli alunni e di piani educativi su misura;
Promozione del benessere scolastico e prevenzione del
disagio negli alunni;
Osservazione e
interpretazione delle dinamiche
relazionali all’interno delle classi al fine di favorire la costruzione di
un clima sereno in cui vi sia inclusione e riduzione delle discriminazioni;
Consulenza e
gestione dei rapporti tra scuola e
famiglia.
Secondo noi queste attività
potrebbero essere utili per migliorare l’esperienza di alunni, insegnanti e
genitori nell’ambito scolastico. Voi cosa ne pensate?
Quindi noi psicologi continueremo a batterci perché la nostra proposta diventi leggi e realtà ma abbiamo bisogno del contributo di tutti, di coloro che lavorano nelle scuole, delle famiglie e anche degli studenti per far sì che questo desideri si realizzi. Io nel mio piccolo continuo a fare ciò che posso perché accada presto e voi cosa fate o farete? Se vorrete lasciare un vostro commento o esprimere la vostra opinione, mi farà piacere. A presto con un altro post sulla psicologia scolastica.
Con questo post chiudo per ora l’argomento “I giovani e la sessualità” parlandovi di un tema che è sempre molto dibattuto: E’ utile parlare di sessualità a scuola o è meglio lasciare che questo argomento venga trattato in seno alla famiglia? Vediamo cosa ci dicono i dati di ricerca e le esperienze sul campo.
Quando i giovani vengono intervistati nella maggioranza dei casi raccontano di non parlare con i propri genitori dell’argomento sessualità. Le informazioni principalmente le ricavano dal confronto con i coetanei e al giorno d’oggi da internet. Ciò significa che questo argomento è ancora poco trattato nell’ambito familiare.
Cosa succede invece nelle scuole? Il dibattito sul fatto se sia opportuno trattare l’argomento sessualità in ambito scolastico è ancora presente anche se ricordo che già se ne discuteva quando andavo a scuola io …. un po’ di tempo fa! Oggi come allora il sesso sembra essere ancora un argomento tabù per cui quando viene proposto a scuola in molti casi si alza il coro dei genitori che, se non si oppone, almeno pone molti vincoli rispetto a cosa, come, quando e quanto si spiegherà agli alunni. Inoltre spesso ci si dimentica che oltre all’educazione sessuale esiste anche quella affettiva che è tanto quanto se non più importante, ma che viene del tutto tralasciata. Risultato: l’educazione affettiva e sessuale in Italia non essendo materia obbligatoria come in altri paesi europei, viene inserita nei piani scolastici solo in alcune scuole e solo con brevi progetti di prevenzione. Di conseguenza le conoscenze dei giovani italiani sono ancora molto scarse su questo tema.
Eppure l’educazione affettiva e sessuale dovrebbe essere parte integrante dell’educazione alla salute in generale, che è un diritto di tutti i cittadini. Dovrebbe essere obbligatoria, di qualità elevata e dovrebbe comprendere piani educativi che permettano di aumentare le conoscenze e trasformarle in competenze. Su questo purtroppo siamo ancora molto lontani rispetto ad altri paesi. E’ importante quindi da parte di tutti i professionisti che si occupano di infanzia e adolescenza continuare a sensibilizzare l’opinione comune su questo argomento. Nel mio piccolo è ciò che cerco di fare dando qualche informazione in più e continuando a lavorare con i giovani, con le loro famiglie e con le scuole.