QUELLO CHE SIAMO OGGI DIPENDE DA COME CI HANNO CRESCIUTO I NOSTRI GENITORI?

Una riflessione nata dalla visione del film “Il Divin Codino”, biografia di Roberto Baggio.

Ciao tutti, non so se è capitato anche a voi ma qualche settimana fa ho visto il film “Il Divin Codino”, una biografia della vita del calciatore Roberto Baggio. Il lavoro introspettivo fatto su questo personaggio mi ha fatto riflettere su una particolare questione che vorrei condividere con voi: quale e quanta parte hanno i nostri genitori in quello che diventiamo una volta adulti? Noi siamo il risultato di come ci hanno cresciuto i nostri genitori?

Questo è una domanda con cui mi confronto spesso nella mia professione visto che mi occupo di età evolutiva e lavoro sia con bambini/adolescenti che con i loro genitori. Vorrei usare la rappresentazione del rapporto padre e figlio che è stata proposta in questo film per rispondere a questa domanda.

Nel film il padre di Baggio appare come un uomo tutto d’un pezzo, grande lavoratore, capace di grandi sacrifici per sostenere una famiglia con ben otto figli, dal carattere duro, severo, poco affettivo nei gesti e nelle parole ma sempre presente soprattutto nei momenti di difficoltà. Roberto sembra avere molto rispetto ma anche molta soggezione del padre. Si impegna tantissimo nella speranza di essere riconosciuto dal padre per il suo valore, finendo però, la maggior parte delle volte, sentendosi non all’altezza delle aspettative, non abbastanza bravo. Questo lo porta ad alzare sempre di più l’asticella delle sue prestazioni e ad ambire a traguardi sempre più alti fin dalla più tenera età.

A più riprese nel corso del film il protagonista ricorda un frammento della sua infanzia, un dialogo col padre avvenuto durante la visione di una finale dei mondiali in cui l’Italia aveva perso contro il Brasile. Roberto vedendo il padre molto deluso per la sconfitta subita dalla nazionale gli fa una solenne promessa: “Vincerò io i mondiali per te contro il Brasile”. All’epoca di questo ricordo Roberto è solo un bambino di 5 anni eppure si fissa nella mente questo impegno solenne e di lì in poi orienta tutta la sua vita a questo scopo con una tenacia e una determinazione eccezionali. Quindi un po’ per la promessa fatta al padre e un po’ perché il padre sembra spingerlo a fare sempre di più e meglio, Roberto intraprende questa sfida con sé stesso per superare ogni limite e ogni ostacolo al massimo delle sue possibilità. La storia ci insegna che lui il suo obiettivo l’ha raggiunto, quella finale ai mondiali col Brasile l’ha giocata!

È a questo punto allora che viene da chiedersi: È stato merito dell’educazione che ha ricevuto da un padre così severo e intransigente se ha ottenuto quel grande risultato e tutti i successi precedenti?”

Ma noi sappiamo anche come è andata a finire quella partita, ricordiamo benissimo quel rigore sbagliato e nel film viene mostrato quanto dolore e quanta delusione Roberto ha provato in quel momento e in seguito.

In questo caso la domanda diventa: “È stata colpa di un genitore troppo esigente, che gli ha messo troppa pressione, se ha commesso quel fatale errore nel momento più importante della sua vita?”

Queste due domande si contraddicono, lo natate anche voi? Quale è allora quella giusta?

In realtà nessuna delle due! Il dialogo finale tra Roberto e suo padre lo chiarisce bene. I due trascorrono una giornata insieme e si confrontano. Roberto è alla fine della sua carriera, sta per lasciare il calcio e fa una sorta di bilancio del suo percorso, mostrando di essere ancora molto deluso per non aver realizzato il sogno di suo padre. A questo punto il padre gli rivela una cosa che sconvolge Roberto e anche i telespettatori del film. Quel ricordo di quando aveva 5 anni e gli aveva promesso di vincere i mondiali in realtà non era mai successo, se l’era inventato e lo aveva fatto per dargli un obiettivo perché lo vedeva un bambino molto insicuro.

Roberto realizza in quel momento di aver incentrato tutta la sua vita, di aver affrontato difficoltà immense per qualcosa di irreale, di inesistente e chiaramente sul momento si arrabbia, è furioso col padre. Poi però ci pensa e la rabbia passa perché realizza che non è stato né per merito né per colpa di suo padre se ha fatto quello che ha fatto e se è diventato quello che è diventato.

Sono tanti gli elementi che hanno contribuito a rendere Roberto Baggio quello che è. In psicologia li chiamiamo fattori e possono essere individuali, come il temperamento, la genetica, le credenze, gli scopi eccetera e ambientali come lo stile genitoriale, la società e la cultura di riferimento, le esperienze che si fanno, le persone significative con cui si intessono relazioni eccetera. È l’insieme di tutti questi fattori che determina ciò che siamo e quello che possiamo diventare.

Certo il padre di Baggio ha contribuito in parte a farlo diventare la persona e il grande sportivo che è diventato ma insieme ad altri mille fattori come il suo temperamento, il suo talento, la sua predisposizione fisica, le persone con cui si è rapportato (moglie, figli, allenatori, giocatori, tifosi), le esperienze che ha vissuto (successi e cadute come i suoi infortuni), il buddismo e così via.

Insomma sono tanti i fattori che entrano in gioco, alcuni li definiamo protettivi perché ci aiutano a star bene e a realizzare noi stessi e i nostri obiettivi, altri li definiamo fattori di rischio perché possono ostacolarci. In ogni caso è la combinazione di tutti questi che ci forma come persone.

Quindi per rispondere alla domanda principale di questo testo, cari genitori ricordate che certamente siete dei fattori importanti nello sviluppo e crescita dei vostri figli ma non siete l’unico fattore e quindi non c’è un nesso di causa effetto tra ciò che fate e come diventano i vostri figli. So di aver affrontato un concetto non facile da comprendere ma spero, con l’aiuto di questo esempio, di essere riuscita in qualche modo a spiegarlo.

Alla prossima allora con un altro argomento e come sempre….RESTATE CONNESSI!!!

Dr.ssa Pinton Michela

NUOVE TECNOLOGIE: QUALE APPROCCIO DEI RAGAZZI E QUALE RUOLO DEGLI ADULTI? Parte 2

Ciao a tutti,

oggi riprendo e concludo l’articolo della scorsa settimana sull’utilizzo delle nuove tecnologie dopo la mia esperienza negli istituti scolastici lo scorso anno. Avevo concluso il mio precedente post raccontandovi di quanto i ragazzi siano abili nel comprendere il funzionamento dei sistemi digitali mentre per parte mia ho potuto mettere in campo competenze di altro tipo. Da ciò l’idea di una collaborazione tra adulti e ragazzi quando si interagisce con questi strumenti.

Questa idea mi è venuta anche perché mi sono resa conto che il modo in cui gli alunni approcciavano ai diversi device appariva del tutto inconsapevole e facile al condizionamento.  Per usare una similitudine, immaginate che il web sia una giungla e che i ragazzi siano dei dispersi senza alcun strumento di sopravvivenza.

Per fare degli esempi: 1) la maggior parte di loro non si rende assolutamente conto di quanto tempo passa connesso perché viene risucchiato da un vortice di messaggi, notifiche, video e così via;

2) sono talmente assuefatti al piacere che provocano questi strumenti da non riuscire più a staccarsene o farne a meno;

3) il mondo virtuale è talmente compenetrato nel mondo reale che finiscono con l’essere continuamente distratti e influenzati da ciò che succede nel mondo virtuale, creando una sorta di interferenza continua;

4) difficilmente riescono a distinguere ciò che vero da ciò che non lo è, tutto diventa assolutamente credibile solo perché online e ripetuto in maniera ridondante.

Questi sono alcuni esempi di quello che accade ai ragazzi quando sono connessi. Li definirei “disarmati” perché mancano di competenze importanti e utili per approcciare nel modo corretto al mondo virtuale: parlo della capacità di darsi delle regole di comportamento, parlo della capacità di discriminare e scegliere nel mare magnum della rete ciò che è attendibile, utile, interessante e di valore da ciò che non lo è, parlo di pensiero critico. Attenzione però, perché non ne faccio una colpa ai ragazzi se non possiedono o non hanno ancora sviluppato queste capacità e competenze. Il fatto è che serve un certo grado di maturità per averle e semplicemente loro ancora non ce l’hanno perché stanno crescendo, sono in fase di formazione. Sarebbe come chiedere ad un neonato di alzarsi in piedi e fare una corsa. Non è possibile perché non ne ha le capacità.

Si tratta quindi di comprendere che un minore non ha ancora le abilità per gestire gli strumenti tecnologici.

Quale la soluzione allora? Li vietiamo finché non hanno raggiunto la giusta maturità come succede per esempio con la patente di guida?

Assurdo, se non impossibile da realizzare visto che le nuove tecnologie ormai fano parte integrante del nostro quotidiano e indietro non si può tornare. In alternativa allora ritorno alla mia idea di partenza: la collaborazione tra adulti e ragazzi. Finché un minore non ha acquisito le abilità necessarie a gestire in autonomia i dispositivi tecnologici dovremmo essere noi adulti ad accompagnarlo e aiutarlo nel mondo virtuale esattamente come da sempre facciamo nel mondo reale.

Ma è a questo punto che sorge un’altra domanda: “Quanti di voi adulti svolgono davvero questa funzione? Quanti stanno a fianco per osservare, informare, spiegare, aiutare, parlare, sorvegliare, sostenere finché non è arrivato il momento di lasciare andare?”

Posso già rispondere a questa domanda: pochissimi!!!

Cari genitori, insegnanti, educatori etc. etc. a questo punto non mettetevi sulla difensiva per quanto sto dicendo perché questo non è un mio punto di vista ma l’affermazione di almeno un centinaio di ragazzi della scuola secondaria di primo grado a cui ho posto la stessa domanda.

Tranne qualche raro caso, quasi tutti mi hanno risposto che il tempo online lo passano sempre da soli, senza nessun adulto che se ne occupi o stia loro accanto. Se ciò corrisponde al vero e non ho motivo di dubitarne ho un’altra domanda da porvi: “Perché noi adulti non ci stiamo occupando dell’educazione dei minori all’uso delle nuove tecnologie? Oppure perché deleghiamo ad altri tale funzione come ad esempio la scuola? Non ci rendiamo conto neanche noi di quanto e come usano tali strumenti, dei rischi a cui possono andare incontro? Non siamo abbastanza pronti, informati, preparati a svolgere tale compito o è troppo difficile e quindi stiamo rinunciando?”

Qualunque sia il motivo, rinunciare o delegare non mi sembra una buona soluzione o per lo meno la trovo molto rischiosa. Per questo la mia proposta continua ad essere la stessa: “Armiamoci e partiamo” ovvero prepariamoci, informiamoci, studiamo per insegnare, aiutare e stare davvero accanto alle nuove generazioni nell’utilizzo dei dispositivi digitali.

A, Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, che ha scritto diversi libri sull’argomento, ha detto: “Voi consegnereste a vostro figlio minorenne le chiavi di una Ferrari e gli direste di andare a far un giro?”

Credo che la maggior parte di voi risponderebbe ovviamente di no. Ma allora perché consegnare nelle mani di un minore un dispositivo dalle infinite possibilità senza istruzioni per l’uso e senza la giusta preparazione?

Io nel mio piccolo, ho scelto di svolgere questo compito e fare il possibile per stare a fianco ed aiutare. Ora lascio a voi fare le dovute riflessioni sull’argomento e valutare se e come assolvere al ruolo educativo anche in questo ambito. Se vorrete condividere il vostro pensiero mi farà molto piacere.

A presto e restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

bambino con smartphone

Educazione all’affettività e sessualità.

Ciao a tutti,

a breve svolgerò un progetto di prevenzione sull’affettività e sessualità presso uno degli Istituti scolastici con cui collaboro e così sto consultando nuovi libri per prepararmi al confronto con i ragazzi. Alcuni genitori mi hanno chiesto di indicare qualche testo che li aiuti ad affrontare questo argomento con i loro figli perchè anche l’educazione sessuale è un aspetto della salute con cui ogni famiglia prima o poi entra in contatto ed è fondamentale essere preparati a dare informazioni e risposte adeguate.Per questo motivo oggi propongo questo testo di facile fruizione per tutti, che tocca un pò tutti gli aspetti dell’affettività e della sessualità, anche quelli più spinosi e che da semplici e chiare indicazioni su quali informazioni e quale linguaggio usare con bambini e ragazzi. Buona lettura a voi e restate connessi!

Dr.ssa Pinton Michela

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“ALZARE LO SGUARDO”: PRESENTAZIONE E RIFLESSIONI SUL LIBRO DI SUSANNA TAMARO. Parte 2

Qualche giorno fa ho pubblicato la prima parte di un articolo che si concludeva con alcune domande. Riprendo da lì e concludo con la seconda e ultima parte di questa mia riflessione.

……Perché si sono dovuti semplificare così tanto i compiti dei bambini, tanto da non scrivere più neanche un semplice pensierino? La scrittrice ha ipotizzato che forse non abbiamo più tanta fiducia nelle loro capacità, che semplifichiamo la loro vita per evitare il più possibile errori e, sia mai, insuccessi o fallimenti. Ha introdotto il concetto di “genitori spazzaneve”, ossia quei genitori che cercano in tutti i modi di spianare la strada da qualsiasi ostacolo ai loro figli. Ma non è che evitando loro qualsiasi frustrazione in realtà non li prepariamo ad affrontare la vita che di per sé è fatta anche di ostacoli, problemi, imprevisti e così via? Non è che in questo modo li rendiamo solo più insicuri? Io credo proprio che sia così. Gli ostacoli servono per crescere, servono per mettersi alla prova e verificare se si hanno le capacità di superarli, servono per farci provare piacere, soddisfazione e senso di autoefficacia quando riusciamo a superarli e se per caso sbagliamo, servono comunque per capire l’errore e non ripeterlo, per rialzarsi e riprovare. Questo è crescere! Quindi cari genitori spazzaneve siete così sicuri di voler privare i nostri figli di questa possibilità? Siete davvero sicuri di non causare un danno peggiore poi, evitando una frustrazione oggi? Io quantomeno ci penserei a lungo.

Arriviamo alle ultime due voci: il mito della creatività e la perdita di una direzione del compito educativo. Nel corso degli anni a più riprese si sono succedute teorie educative che partivano dal presupposto che l’obiettivo educativo principale fosse lo sviluppo delle competenze attraverso le capacità creative del bambino. Premesso che si tratta di teorie che si sono tradotte in metodi didattici validati ed efficaci, secondo l’autrice però, in alcuni casi, queste teorie sono state un po’ travisate e di conseguenza la metodologia non è stata praticata nel modo più corretto. Un errore comune è quello di confondere la creatività con la libertà di fare quello che si vuole. Crescere e imparare in un contesto educativo creativo non significa non avere regole. Perfino nel Metodo Montessori, uno dei primi a basarsi su questo assunto, i bambini erano educati ad essere puliti, ordinati, ad avere rispetto di sé, degli altri e del materiale scolastico. Ciò significa darsi e condividere delle regole, che sono quelle della civile convivenza e che sono quelle che permettono poi di sviluppare la propria creatività. L’ordine e le regole sono fondamentali per crescere. E chi, se non gli insegnanti, è deputato al compito dare ordine e regole? Educare significa indicare la strada, fare da guida, significa assumersi la responsabilità e il rischio di insegnare ciò che è giusto e sbagliato, quale è il bene e quale è il male. Purtroppo lo scopo dell’educazione oggi si scontra con l’idea di libertà, cioè con la convinzione che ognuno debba essere libero di fare le proprie scelte e così anche i bambini. In questo modo però si abdica al ruolo di educatore e non si trasmettono più valori importanti. E ancora mi vengono delle domande. Siamo sicuri che un bambino sappia da solo scegliere autonomamente la sua strada quando non gli abbiamo trasmesso alcun valore? E’ davvero così sbagliato indicare la strada e aspettare che un bambino diventi maturo abbastanza per poter scegliere da solo? Io sono cresciuta in un periodo in cui erano gli adulti di riferimento a scegliere per me e a dirmi cosa potevo o non potevo fare, cosa era giusto e cosa sbagliato. Magari non sarò stata sempre d’accordo ma non ho mai vissuto in maniera traumatica l’educazione che mi veniva impartita, né ho mai sofferto per la limitazione della libertà. Semplicemente mi fidavo e affidavo a chi mi voleva bene, si occupava di me e aveva più esperienza di me. Ciò non mi ha impedito, crescendo di sviluppare un mio pensiero e, da adulta, di fare le mie scelte, a volte in linea con i valori che mi sono stati trasmessi e altre no. E se riguardo indietro, sono grata a mia madre, alla mia maestra, ai miei nonni che in alcuni casi hanno scelto per me anche contro il mio parere, perché mi hanno preservato da errori che avrei sicuramente commesso. Ringrazio i miei educatori per essersi assunti loro la responsabilità e, perché no, anche il rischio di indicarmi la strada, perché senza di loro non sarei quella che sono oggi e credo, modestamente, che abbiamo fatto un buon lavoro.

Bene credo di aver dato tanti spunti su cui riflettere perciò, vi lascio a vostri pensieri che se vorrete condividere, mi farà molto piacere. Buona giornata a tutti e al prossimo post!

susanna tamaro 1
pesentazione libro susanna tamaro fiera delle parole padova

“ALZARE LO SGUARDO”: PRESENTAZIONE E RIFLESSIONI SUL LIBRO DI SUSANNA TAMARO. Parte 1

Recentemente ho partecipato a diverse conferenze della “Fiera delle parole” che si è tenuta a Padova nel mese di Ottobre. Tra le tante ho assistito alla presentazione dell’ultimo libro di Susanna Tamaro e vorrei condividere con voi quello che ho capito e le mie riflessioni.

Nel libro “Alzare lo sguardo” di Susanna Tamaro si sviluppa un confronto tra la scuola di alcuni anni fa, cioè di quando lei era una studentessa, e la scuola di oggi. L’autrice si trova spesso a frequentare gli istituti scolastici visto che ha scritto diversi libri per bambini.

S. Tamaro ha presentato questo libro partendo da una sua considerazione personale: secondo la sua esperienza i bambini sembrano molto più infelici, nevrotici e pieni di problemi psicologici rispetto ad un tempo e la scuola soprattutto la primaria sembra ormai in caduta libera. Si è quindi interessata di comprendere o ipotizzare quali possono essere le cause di questa situazione e ne ha proposte alcune: presenza di diversi insegnanti già alla scuola elementare, ipersemplificazione dei compiti, presenza di genitori “spazzaneve”, “mito della libertà creativa” dei bambini e perdita di una direzione precisa nel compito educativo.

Ora provo ad entrare nel dettaglio e ad esprimere un mio pensiero.

Secondo S. Tamaro la scuola primaria è un passaggio di crescita fondamentale per i bambini e, in passato, la presenza di un’unica maestra per tutti cinque gli anni costituiva un punto di riferimento importante. La maestra unica era una figura di riferimento autorevole e autoritaria per tutti, bambini e genitori. Il termine “autoritaria”, all’epoca, non aveva quell’accezione negativa che ha oggi e per il quale non può più essere utilizzato, ma serviva ad indicare una persone che aveva capacità e potere di gestione della classe e che veniva rispettata e ascoltata da tutti. Magari i bambini potevano avere un po’ di timore reverenziale di fronte a questa figura ma, personalmente credo fosse sano e giusto. Oggi è evidente che il sistema scolastico è molto cambiato per cui è utopico pensare di ritornare alla maestra unica ma condivido l’idea che una figura di riferimento ci debba essere, qualcuno che segua i bambini per tutta la scuola primaria, qualcuno che li possa quindi conoscere in maniera approfondita e che possa quindi aiutarli e guidarli nel modo migliore. Non condivido affatto questo continuo cambio di insegnanti non solo da un anno all’altro ma a volte anche in uno stesso anno scolastico. Questi continui e repentini cambiamenti credo non siano in linea con il bisogno di stabilità e sicurezza dei bambini.

Per quanto riguarda l’ipersemplificazione didattica, l’autrice ha raccontato di aver preso visione dei compiti che svolgono i bambini e dei libri di testo sui quali studiano e ha riscontrato un grande differenza rispetto al passato. I libri risultano caotici, pieni di immagini, di schemi, di brevissimi riassunti, praticamente la copia venuta male del computer. Ho avuto modo di osservarli anch’io e la sensazione che ho provato è di frammentazione delle idee. I concetti ci sono pure ma non trovo un filo logico, una connessione, un senso di coesione del testo e chi riesce a fare questo tipo di elaborazione? Può riuscirci un bambino? I testi che ricordo io, magari potevano essere meno accattivanti da un punto di vista grafico e con meno immagini, ma contenevano dei testi unici, completi, esaustivi dai quali tu dovevi ricavare le informazioni importanti.

Per non parlare che alcune tecniche di apprendimento sono sparite: pensiamo per esempio alle vecchie cornicette, alle pagine e pagine di lettere da scrivere in bella grafia (la calligrafia), al corsivo, alla scrittura dei pensierini. Adesso esistono le schede! Quintali e quintali di schede precompilate (e tralascio il fastidio per lo spreco di carta) dove i bambini sono tenuti solo ad inserire delle parole o delle crocette. Perché le vecchie tecniche sono sparite? Sono così obsolete?! S. Tamaro invitava a riflettere però sull’utilità di alcuni di questi strumenti di apprendimento e io concordo. Per esempio cornicette e calligrafia sono esercizi fondamentali per lo sviluppo della coordinazione oculomotoria, della motricità fine e del cervello in generale. Avete notato quanti bambini oggi non sanno tenere bene una penna in mano? Avete notato quanti non scrivono più in corsivo? Vi siete chiesti quali possono essere le conseguenze di queste scelte? E perché si sono dovuti semplificare così tanto i compiti dei bambini, tanto da non scrivere più neanche un semplice pensiero?

Le risposte a queste domande e altre riflessioni le troverete nella seconda parte di questo articolo che pubblicherò presto. Stay tuned!

Dr.ssa Pinton Michela


NO PANIC – Incontro divulgativo sull’ansia in età evolutiva.

Questa estate ho tenuto degli incontri rivolti ai genitori su tematiche che riguardavano la psicologia dell’età evolutiva.

NO PANIC è stato un incontro divulgativo con l’obiettivo di fornire utili informazioni sull’emozione ansia e la sua funzione, su quando e perché può diventare un problema e su come trovare delle soluzioni appropriate, in un’ottica di educazione e prevenzione della salute psicologica dei bambini/adolescenti.

Nei precedenti video vi ho già parlato degli aspetti caratteristici dell’ansia/paura, di quando l’ansia può diventare un problema, di alcuni sintomi specifici dell’ansia in età evolutiva e del circolo vizioso dell’ansia. Analizzando il circolo vizioso dell’ansia abbiamo scoperto che vi sono diversi fattori che contribuiscono al suo mantenimento a livelli alti di intensità e a lungo nel tempo. Tra questi fattori, nel caso dell’età evolutiva, ve n’è uno di particolare di cui vi parlerò in questo video: lo stile educativo dei genitori.

Buona visione e se volete lasciate pure un vostro commento e domanda.

Dr.ssa Pinton Michela

4 stili educativi e ansia in età evolutiva.

Continuando la rassegna di brevi video dal titolo “Pillole di psicologia”, oggi vi parlerò di quali sono i 4 stili educativi dei genitori che concorrono a mantenere alti livelli di ansia nei propri figli.

Buona visione e se avete domande o pareri da esprimere lasciate pure un vostro commento!