Questa estate, presso i
Centri Estivi del CUS Padova, ho tenuto degli incontri rivolti ai genitori su
tematiche che riguardavano la psicologia dell’età evolutiva.
NO PANIC è stato un incontro divulgativo con l’obiettivo di fornire utili informazioni sull’emozione ansia e la sua funzione, su quando e perché può diventare un problema e su come trovare delle soluzioni appropriate, in un’ottica di educazione e prevenzione della salute psicologica dei bambini/adolescenti.
Qualche giorno fa ho pubblicato la prima parte dell’incontro in cui parlavo in generale delle emozioni e introducevo l’ansia/paura. In questa seconda parte vi parlerò dell’espressione del viso tipica dell’ansia/paura e delle sensazioni fisiche correlate.
Buona visione e se volete lasciate pure un vostro commento e domanda.
Questa estate, presso i Centri Estivi del CUS Padova, ho tenuto degli incontri rivolti ai genitori su tematiche che riguardavano la psicologia dell’età evolutiva.
Riprendendo la serie “Pillole
di psicologia” vorrei riproporvi alcuni stralci di quegli incontri.
Oggi vi introduco la prima parte dell’incontro NO PANIC. L’obiettivo dell’incontro era fornire utili informazioni sull’emozione ansia e la sua funzione, su quando e perché può diventare un problema e su come trovare delle soluzioni appropriate, in un’ottica di educazione e prevenzione della salute psicologica dei bambini/adolescenti.
In questo breve video vi parlerò delle emozioni in generale e in particolare della Paura/Ansia.
Buona visione e se volete lasciate pure un vostro commento e domanda.
Come si presentano i Domestic Offenders e quale possibile trattamento?
Relazione presentata al convegno Sitcc di Verona sulla violenza domestica
Al link sottostante troverete la presentazione del trattamento sui Domestic Offender secondo il modello della Terapia Metacognitiva Interpersonale (Dimaggio, Popolo et al.,Corpo, Immaginazione e Cambiamento- Cortina 2019).
Ci sono alcuni spunti interessanti su come si presentano i Domestic Offenders in terapia e sulla modalità di trattamento
Oggi niente articoli “didattici” su qualche argomento di
psicologia come faccio di solito ma vorrei condividere con voi solo qualche
riflessione che mi è capitata di fare qualche giorno fa.
Sono una psicologa “itinerante”. Chi di voi mi conosce, sa
che lavoro su due città (in passato anche su 3 e 4), Padova e Verona e quindi
mi capita di passare molto tempo in macchina. L’altro giorno mi trovavo appunto
sull’A4 tra Verona e Padova quando alla
radio ho sentito la canzone “Mi fido di te” di Jovanotti.In particolare la mia mente si è soffermata su questa verso: “La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare. Mi fido di te. Mi fido di te. Mi fido di te. Cosa sei disposto a perdere?”Su questa frase mi è partito un trip di pensieri che, per palese deformazione professionale, ho accostato al mio lavoro e visto che riguardava concetti di psicologia che possono essere utili a tutti, ho pensato di condividerli con voi.
Per ogni frase di
questo verso ho fatto delle considerazioni diverse ma che rientrano tutte nel
tema: come si può affrontare l’ansia?
Prendiamo la prima frase: “La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare”.Non ho inteso questa frase in senso letterale quindi non parlerò delle vertigini come sintomo fisico. In questa frase ci ho visto un altro significato, ossia la possibilità che abbiamo tutti di vedere le cose da un altro punto di vista. Non avete idea di quanto sia importante nel trattamento dell’ansia aiutare le persone a sviluppare un pensiero alternativo rispetto alle proprie convinzioni. E’ un aspetto molto importante uscire dal proprio punto di vista e prendere in considerazione altre possibilità. Se si sviluppa questa capacità è possibile interpretare anche ciò che ci fa più paura in modo diverso e forse meno ansiogeno. Così anche la “vertigine” che rappresenta qualcosa che solitamente fa molta paura può essere interpretata invece come una spinta a buttarsi nelle cose, a correre il rischio. Correre il rischio……..ecco un altro concetto chiave quando si tratta l’ansia ma ve ne parlo più tardi.
Passiamo alla seconda frase: “Mi fido di te”.Del tema della fiducia nella mia professione vi avevo già parlato in quel ciclo di articoli su chi è e cosa fa lo psicologo. Se avete voglia potete andare a rileggerli. In ogni caso confermo il concetto che è importante per il paziente fare un atto di fiducia verso lo psicologo a cui si è rivolto, confidando nel fatto che lo possa aiutare. E’ giusto e opportuno verificare che il professionista in questione abbia tutte le carte in regola, laurea, abilitazione ed eventuale specializzazione ma bisogna tener conto che spesso un percorso terapeutico richiede tempo e che i risultati quindi non possono essere immediati. Per questo motivo si tratta di fare, per un certo tempo, atto di fiducia verso chi si è impegnato ad aiutare. Si tratta di affidarsi allo psicologo esattamente come ci si affida ad un medico, essendo convinti che si potrà ricevere un aiuto e che col tempo si risolverà il proprio problema.
Anche la fiducia comporta però un quota di rischio e così
arrivo all’ultima parte del verso di Jovanotti: “Cosa sei disposto a perdere?”Il rischio è proprio questo, avere la consapevolezza che si
può perdere qualcosa. Uno dei grandi
problemi delle persone ansiose è che non sono disponibili ad accettare neanche
una percentuale minima di rischio. L’ansia aumenta anche per questo motivo.
Se non si accetta nemmeno una quota di
rischio di sbagliare, di perdere, di soffrire restano solo due possibilità: evitare di esporsi a qualsiasi
rischio oppure cercare di controllare
tutto. Nel primo caso se non esporsi al rischio abbassa l’ansia ma
probabilmente si perdono tante occasioni come ad esempio avere una relazione
sentimentale, fare carriera, superare un esame e così via. I grandi scopi della
nostra vita ma anche i piccoli obiettivi, insomma tutto ciò che possiamo
desiderare o di cui abbiamo bisogno comprendono sempre la possibilità di non
riuscirci. Nel secondo caso si tende a controllare tutto non rendendosi conto
del dispendio di tempo ed energie che ciò comporta e soprattutto del fatto che
non è possibile controllare tutto. E’ un tentativo fallimentare in partenza.
Oltre all’ansia di riuscire a controllare tutto poi si aggiunge la delusione di
non esserci riusciti e di nuovo si perde ciò che si era desiderato.
Compito dello
psicologo è aiutare le persone ansiose quindi ad accettare almeno una quota
minima di rischio in ogni cosa che vorrebbero fare o ottenere. Si tratta di trovare un equilibrio tra il
buttarsi confidando nelle proprie capacità e accettare i propri limiti, la
propria vulnerabilità e fallacità.
Quante cose ancora mi verrebbe da aggiungere su questo argomento ma mi rendo conto che ho scritto già tanto e vi sarò venuta anche a noia per cui per oggi mi fermo qui e magari riprenderò il discorso un’altra volta. Ho già in mente un’altra canzone su questo tema. A presto dunque e se volete commentare o fare domande non esitate!
Negli articoli più recenti mi
sono soffermata sul ruolo dello psicologo
scolastico e sui suoi possibili interventi. Un ambito di lavoro che ha
preso sempre più piede negli ultimi anni riguarda i progetti di integrazione nelle classi multiculturali. Vediamo nello
specifico cosa comporta occuparsi di questo particolare problema.
Partiamo con una premessa. Dati del MIUR ci dicono che il numero
di bambini stranieri a scuola è
costantemente in crescita. Negli ultimi anni c’è stato un incremento del 10% in tutto il territorio italiano e in particolare
nel centro-nord. Spesso si tratta di bambini nati in Italia ma che si trovano
ad affrontare una crisi di appartenenza tra il contesto familiare/cultura
d’origine e il paese dove vivono.
Gli insegnanti che lavorano in classi multiculturali
si trovano ad affrontare diversi tipi di problemi che non riguardano solo la lingua ma anche molti
altri aspetti come la storia d’immigrazione famigliare, i problemi attraversati
dalle famiglie d’origine e la cultura fatta di regole, usanze, tradizioni,
modalità di interazione, credenze, percezioni, assunzioni, valori e priorità
che possono essere molto diverse dalle nostre. Bisogna sempre tener presente
che le pratiche culturali si
ripercuotono sulle esperienze relazionali e sociali. Ciò significa che gli
insegnanti si trovano davanti ad un contesto
ricco di sfide che richiede grande preparazione, tecniche speciali e molta
pratica.
Le domande che bisognerebbe porsi
quando si costruisce un intervento di integrazione culturale dovrebbero essere:
Quali sono le
caratteristiche di questo bambino? (Perché ogni bambino è a sé)
Come è composta
la sua famiglia e quali sono le caratteristiche della famiglia?
Quali legami ha
io bambino con il suo mondo d’origine?
Che relazione c’è
tra la famiglia e la scuola? Chiusura e difesa, assimilizzazione e accettazione
oppure cooperazione e integrazione?
Anche in questo tipo
d’interventi lo psicologo può
affiancarsi agli insegnanti e sostenerli nel loro compito. Sono già state
indicate da tempo delle linee guida sia
europee che italiane da seguire per migliorare il benessere, l’integrazione
e l’apprendimento delle classi multiculturali.
L’obiettivo
di questi progetti è fornire uguali opportunità
a tutti gli alunni secondo le loro specifiche differenze creando strategie
educative adatte ai vari casi.
Lo psicologo ha la funzione
di aiutare gli insegnanti a modificare
curricula, attività didattiche, stili educativi e credenze in relazione ai
singoli alunni che compongono la classe. Bisogna infatti tener sempre presente
che l’apprendimento funziona solo quando
è veicolato da un canale culturale condiviso.
L’unico problema che si presenta solitamente è la scarsità di risorse economiche per cui gli interventi di integrazione scolastica sono brevi e insufficienti rispetto ai reali bisogni della scuola ma, come già ribadito più volte nei miei articoli precedenti, al momento questa è la situazione e questo è il massimo che si riesce a fare. Come sempre tutti speriamo in una riforma che inserisca finalmente lo psicologo a scuola.
Negli ultimi giorni vi ho
parlato della funzione dello psicologo
scolastico e delle attività che svolge e potrebbe svolgere a scuola. In
questo articolo vi parlerò di come lo
psicologo può promuovere il benessere a scuola.
Il benessere degli alunni in
ambito scolastico è un prerequisito
essenziale su cui si dovrebbe basare tutto il lavoro della scuola perché d
esso dipende il rendimento scolastico e la possibilità per gli alunni di
costruire relazioni positive.
Ma cosa si intende per “benessere”
a scuola?
Il benessere in ambito scolastico in realtà è dato da
un insieme di fattori come:
Provare emozioni
positive;
Provare senso di
competenza e autoefficacia nel fare le cose;
Avere buone
capacità di comunicazione;
Provare un senso
di appartenenza;
Partecipare ad
attività comuni e collaborare;
Saper gestire i
conflitti;
Essere parte di
un’organizzazione complessa come lo è la scuola.
I primi due punti riguardano aspetti intrapsichici individuali
mentre gli altri riguardano la sfera
interpersonale ovvero le relazioni che si instaurano con gli altri all’interno
della scuola.
Per promuovere il benessere a
scuola sono state tracciate delle linee
guida a livello internazionale che prevedono un intervento strategico su più fronti:
Sui singoli individui;
Sulla classe (per esempio con interventi di
alfabetizzazione emotiva);
Sulla scuola (per esempio riorganizzando gli ambienti
di apprendimento, inserendo concetti di psicologia nelle attività curriculari,
usando l’apprendimento cooperativo oppure coinvolgendo i giovani per migliorare
le loro relazioni);
Sulla famiglia.
Appare evidente che per
rendere questi interventi efficaci sono necessari progetti continui e duraturi, non a spot come purtroppo ancora
accade nelle scuole a causa delle scarse risorse a disposizione.
Siamo, ahimè, ancora lontani dal poter realizzare progetti così strutturati e prolungati nel tempo ma come categoria professionale stiamo premendo per arrivare al risultato desiderato. Tuttavia, non mi stancherò mai di dirlo, non basta l’impegno di noi psicologi ma serve la collaborazione di tutti, famiglie e scuola. Confido nel fatto che questo sia un obiettivo comune e che prima o poi lo raggiungeremo. Nel frattempo se avete commenti o domande, scrivete pure. A presto!
In questo post vi parlerò di un argomento di cui gli psicologi si occupano in ambito scolastico già da alcuni anni: l’educazione all’affettività e sessualità con i suoi pro e i suoi contro.
Nel precedente post vi ho parlato dei possibili interventi che lo psicologo potrebbe svolgere in ambito scolastico. Uno degli argomenti di cui la psicologia scolastica si occupa già da tempo è l’educazione all’affettività e sessualità. Questo argomento purtroppo però viene solitamente trattato in modo limitato e sporadico, non solo per colpa delle scarse risorse finanziarie della scuola, ma a causa di alcuni pregiudizi che ancora persistono negli adulti intorno a questo tema come ad esempio: “ai bambini non serve che si tratti questo argomento a scuola” oppure “la sessualità è un processo naturale e quindi non serve spiegarlo”.
Mi sembra una visione un po’ miope se ricordate alcuni dati di ricerca sul tema “Giovani e sessualità” che vi avevo riportato qualche tempo fa. Giusto per rispolverare la memoria ne ricordo qualcuno:
L’età media in
cui i giovani vivono le prime esperienze sessuali si è abbassata;
I giovani
dimostrano di avere scarse conoscenze circa la sessualità;
Le informazioni
che i giovani hanno sulla sessualità le ricavano principalmente da internet.
Riflettendo su questo ultimo punto bisogna tener presente che i minori hanno facile accesso ai dispositivi elettronici con tutti i loro contenuti, tra cui messaggi pornografici e pornosoft subliminali e non come quelli che sono presenti in molti videogiochi, ma hanno scarse competenze nel loro utilizzo. L’accesso libero e smodato alla rete comporta alcuni rischi tra qui quello di poter interagire con dei pedofili.
Credo possiate capire da voi quanto diventa importante la figura professionale dello psicologo nel trattare questo argomento.Ovviamente questo tipo d’intervento non dovrebbe essere limitato ad una discussione sulla dimensione biologica della sessualità o una semplice descrizione dell’apparato genitale. L’affettività e la sessualità comprendono molteplici dimensioni e tutte concorrono allo sviluppo dell’identità dei ragazzi. Pertanto gli psicologi che si occupano di affettività e sessualità a scuola solitamente toccano tutte le dimensioni:
Ludica (ricerca
del piacere, curiosità al posto di trasgressione);
Valoriale (dare
un senso e un significato ad ogni azione e saper valutare cosa è bene e cosa no
per sé stessi secondo il proprio sistema di valori);
Culturale (al
giorno d’oggi ci si confronta con l’esposizione mediatica e sdoganamento della
sfera privata).
Sebbene tutti questi argomenti vengano trattati nei progetti scolastici purtroppo, come vi avevo anticipato, il tempo che lo psicologo ha per farlo è molto limitato. Per questo motivo sarebbe auspicabile, in questo tipo d’interventi ma anche per altri argomenti, seguire delle linee guida:
Fare in modo che
i progetti siano a lunga scadenza e liberi dall’ossessione di risultati
miracolosi in tempi brevi, in fondo parliamo di temi che i giovani riescono ad
elaborare nel corso del tempo;
Cercare di
integrare tutte le conoscenze e le esperienze di tutte le parti (psicologi,
insegnanti, alunni genitori);
Tener sempre
presente la realtà che i giovani stanno vivendo e i loro reali bisogni, dar loro
la possibilità di esprimerli senza il dubbio di essere giudicati;
Concentrarsi più
sulle persone e le loro esigenze che sul progetto in sé stesso.
Spero che un giorno si possa arrivare a questo risultato e rinnovo la mia convinzione che lo psicologo scolastico dovrebbe essere una figura professionale fissa e stabile all’interno della scuola per seguire questo tipo di progetti e per tanti altri motivi. Voi che ne pensate?
Questo argomento mi tocca
personalmente viste le mie esperienze professionali in diverse scuole del
Veneto. Cari lettori, in questo post vorrei aiutarvi a capire quale è attualmente il ruolo dello psicologo in
ambito scolastico e quali sono gli obiettivi a cui la mia categoria
professionale, ma non solo, tende a raggiungere.
L’Ordine degli Psicologi sia a livello regionale che
nazionale da circa vent’anni si sta battendo per l’inserimento dello psicologo
nella scuola italiana. Questo non è
un desiderio solo di noi professionisti ma una richiesta che, secondo le
indagini più recenti, arriva dal 61,3% della popolazione.
Vi faccio una premessa sulla situazione della scuola e sulle possibilità di intervento degli psicologi in questo momento. Dalle interviste agli insegnanti delle scuole italiane emerge sempre di più l’esigenza di un supporto maggiore da parte degli psicologi in relazione all’aumento di alcune difficoltà che riguardano la gestioni di classi sempre più problematiche. I diversi disagi degli studenti finiscono con l’influire pesantemente con lo svolgimento delle normali attività didattiche e quindi con l’apprendimento degli studenti. I disagi manifestati dagli alunni solitamente hanno a che fare con la scarsa tolleranza alle frustrazioni (sempre più diffusa), con l’eccessivo individualismo e con problemi emotivi e comportamentali. A fronte di queste difficoltà i vecchi metodi educativi sembrano non avere più efficacia.
Mentre nella maggior parte dei paesi europei lo
psicologo è regolarmente inserito in ogni scuola come dipendente della pubblica
istruzione, in Italia dal 2017 è aperto al MIUR un tavolo tecnico per valutare
l’ipotesi di fare altrettanto ma al
momento i lavori non sono ancora conclusi e siamo ancora lontani dal varare un
legge in proposito. Per questo motivo, al momento, lo psicologo scolastico in Italia è un libero professionista che lavora
in maniera autonoma e con contratti a progetto di tempi assai brevi. Questo
accade anche in virtù delle scarse risorse che vengono destinate al sistema
scolastico. I progetti di cui si
occupano negli ultimi anni gli psicologi a scuola riguardano: CIC
(sportelli d’ascolto), alfabetizzazione emotiva, educazione all’affettività e
sessualità, bullismo e cyberbullismo, abuso di sostanze e nuove dipendenze,
orientamento ed inoltre la stesura dei BES (bisogni educativi speciali) e la
presa in carico di casi di DSA (disturbi specifici dell’apprendimento).
Potete capire da voi che un intervento così frammentato e limitato
da parte degli psicologi non riesce a supportare adeguatamente le necessità
complesse del mondo scolastico odierno. Ci sarebbe bisogno di una presenza
continua e quotidiana, esattamente come avviene negli altri paesi europei e
l’intervento dello psicologo non riguarderebbe più solo la gestione e
risoluzione di casi specifici ma si potrebbe estendere ad altre attività utili.
Vi voglio quindi esporre una panoramica
di proposte che, come categoria professionale, saremmo disposti a mettere
in campo, qualora ce ne fosse data la possibilità. Le attività che potremmo esercitare nell’ambito scolastico sono:
Formazione degli
insegnanti rispetto ai processi mentali
coinvolti nell’apprendimento e patologie specifiche dell’età evolutiva;
Formazione degli
insegnanti per creare programmi di
potenziamento delle risorse degli alunni e di piani educativi su misura;
Promozione del benessere scolastico e prevenzione del
disagio negli alunni;
Osservazione e
interpretazione delle dinamiche
relazionali all’interno delle classi al fine di favorire la costruzione di
un clima sereno in cui vi sia inclusione e riduzione delle discriminazioni;
Consulenza e
gestione dei rapporti tra scuola e
famiglia.
Secondo noi queste attività
potrebbero essere utili per migliorare l’esperienza di alunni, insegnanti e
genitori nell’ambito scolastico. Voi cosa ne pensate?
Quindi noi psicologi continueremo a batterci perché la nostra proposta diventi leggi e realtà ma abbiamo bisogno del contributo di tutti, di coloro che lavorano nelle scuole, delle famiglie e anche degli studenti per far sì che questo desideri si realizzi. Io nel mio piccolo continuo a fare ciò che posso perché accada presto e voi cosa fate o farete? Se vorrete lasciare un vostro commento o esprimere la vostra opinione, mi farà piacere. A presto con un altro post sulla psicologia scolastica.
anche questa settimana vorrei proporvi la mia risposta ad una domanda che mi è arrivata qualche tempo fa via mail da una mamma preoccupata rispetto ai comportamenti di autoerotismo della figlia di 6 anni. Probabilmente vi starete chiedendo se anche i bambini piccoli possono avere comportamenti di autoerotismo e se possono provare piacere. Ebbene sì! Ma qual è il significato di questi comportamenti? Leggete il seguito e forse vi farete un’idea. Se poi vi va di aggiungere un vostro commento o fare qualche altra domanda, postate pure. Buona lettura e a presto.
“Buon giorno sono la
mamma di A. Ho bisogno di comprendere un atteggiamento di mia figlia di 6 anni.
Lei quando è stanca, o quando io e mio marito bisticciamo, cerca di fare
“cavallino”, infatti adora andare a cavallo. Ciò che chiamo
“cavallino” mi sembra un atteggiamento non di gioco, ma un
massaggiare le parti intime. E’ normale, e cosa devo fare o dire quando lo fa?
Mio marito si arrabbia con lei, io cerco di farla smettere distraendola. Cosa
possiamo fare?”
Cara
mamma di A.
Non è insolito che i bambini usino dei comportamenti di autoerotismo a scopo consolatorio e per sentirsi meglio, grazie alle sensazioni piacevoli che ne derivino. Pertanto eviterei sgridate o punizioni che la bambina non comprenderebbe. Sarebbe confusa dal vostro atteggiamento negativo perché si chiederebbe cosa sta facendo di male. In effetti non c’è nulla di sbagliato in questi comportamenti, vanno solo indirizzati meglio. Dovete fare in modo che vostra figlia capisca che anche i litigi fanno parte della vita di coppia e che non intaccano l’amore tra di voi e dovreste anche aiutarla a capire che si possono affrontare in modo diverso i momenti spiacevoli della vita, per esempio parlandone con le persone care ed esprimendo le proprie paure. E’ proprio questo che vostra figlia sta facendo: sta esprimendo un disagio. Tocca a voi aiutarla a trovare un modo migliore e più utile per esprimere le sue sensazioni e i suoi pensieri. Buona giornata.
Qualche tempo fa ho condotto una serata sul tema “L’attaccamento madre/bambino” e successivamente ho ricevuto una mail da una mamma che era presente in sala.Vorrei condividere con voi la domanda che mi è stata posta e la mia successiva risposta. Buona lettura e se avete commenti, riflessioni o ulteriori domande da condividere postate pure!
Buon pomeriggio Dottoressa,
in relazione all’argomento di ieri sera sull’attaccamento madre – figlio, visto gli studi e la possibile “catalogazione” dei comportamenti dei bambini durante il distacco dalla figura di riferimento, mi permetta una domanda personale. Ho due maschietti di 9 e 6 anni, con caratteri diametralmente opposti ma anche accomunati da una poca autostima di fondo e timidezza ma forse propria dell’età. L’inserimento all’asilo è stato diverso per entrambi: il primo ha pianto molto e non si è mai lasciato consolare da maestre ed educatrici, uscito dall’asilo voleva solo venire a casa e solo io potevo andare a portarlo e a riprenderlo a scuola, ma passato il primo periodo, il senso del dovere o non so se una maturità accentuata, ha portato Riccardo a fare sempre ogni cosa bene e con rigore senza più una lacrima restando sempre e (difficoltà anche a mangiare alla mensa, solo la mamma è brava a fare il pranzo diceva!) comunque a distanza da carezze e abbracci delle educatrici (diffidente di natura).
Il secondo, grande capriccioso e allattato al seno fino ai due anni e mezzo, grande dittatore se mi è concesso (ancora ora durane la notte viene nel lettone) ha iniziato l’asilo presto proprio per eliminare l’allattamento al seno, per mio rientro al lavoro e perché bambino con grande autocontrollo dei bisogni fisiologici richiesti per l’inserimento precoce alla scuola materna. Ho praticamente lasciato che il fratellino più grande mi aiutasse nel suo inserimento a scuola che tutto sommato non è stato costellato da pianti di disperazione come il primo. Ora Le chiedo perché, nonostante quest’ultimo figlio (Francesco) conosca bene l’ambiente, le suore, i compagni, ancora tenderebbe a piangere quando lo lascio la mattina a scuola e perché se tardo nell’andare a prenderlo piange e crede che la mamma si sia dimenticata di lui?
Nonostante il lavoro sono una mamma molto affettuosa e presente. Vorrei solo trovare il modo per rassicurarlo e farlo rilassare e anche maturare in vista anche della scuola elementare di settembre.
La ringrazio sinora se potrà darmi attenzione….
Con stima.
Gentile Sig.a,
le premetto che in poche righe di mail non è possibile inquadrare bene una situazione e di sicuro, non conoscendo bene né lei né i bambini, sarebbe poco professionale da parte mia dare delle soluzioni. Peraltro il mio compito non è quello di dare risposte e soluzioni alle persone ma aiutarle a comprendere meglio gli eventi di vita vissuti e individuare strategie efficaci per affrontarli e superarli. Di conseguenza quello che posso fare per rispondere alla sua mail è offrirle degli spunti di riflessione con la speranza che l’aiutino a vedere le cose da un punto di vista alternativo o che le suggeriscano una visione nuova del problema.
Leggendo ciò che mi ha scritto mi sono venute in mente alcune cose:
riprendendo il discorso fatto al seminario i bambini nascono con delle caratteristiche di temperamento innate e specifiche ma, nel corso dello sviluppo, è l’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali che forma il loro carattere e la loro personalità. Questo per farle capire che buona parte la giocano le interazioni con gli adulti di riferimento e le esperienze di vita vissuta;
lei giustamente descrive i due bambini con caratteri molto diversi perché mostrano un temperamento e un modo di affrontare gli eventi diversi ma personalmente mi salta all’occhio il tratto comune che hanno, ossia la difficoltà a staccarsi da lei, ad opporre resistenza anche se con comportamenti differenti;
mi dà da pensare il fatto che nonostante il trascorrere di un tempo lungo questi bambini vivano ancora con disagio il distacco da lei e non riescano ad ingaggiare relazioni d’attaccamento con le persone che si occupano di loro (maestre);
mi viene infine questa domanda da farle…ma lei invece come vive il distacco dai suoi figli quando li porta a scuola e nel tempo che trascorre lontano da loro? E’ serena nell’affidarli alle cure delle maestre oppure no?
Forse la risposta a questa domanda potrebbe chiarire meglio la situazione e aprire la strada ad una soluzione. Spero di essere riuscita a spiegarmi. Qualora sentisse il bisogno di un colloquio, resto a sua disposizione.