ho da poco concluso la lettura del libro “La trappola della felicità” di R. Harris.
Si tratta di un manuale di auto aiuto e può essere letto e compreso da tutti. L’esposizione dei contenuti è chiara, semplice, scorrevole e il testo è ricco di esempi che spiegano i concetti proposti. È un manuale molto utile che introduce ad una delle nuove terapie di terza generazione.
Questo libro presenta i principi fondamentali e alcune tecniche della Acceptance and Commitment Therapy.
Scopo del libro è aiutare le persone a sviluppare la flessibilità mentale in modo da vivere pienamente il loro presente e agire in direzione dei propri valori. Può essere un buon punto di partenza per apprendere come funziona la nostra mente, per aumentare il livello di consapevolezza personale e per provare a cambiare certi modi di agire.
Tuttavia tengo a precisare ai lettori che in questo libro si parla di psicoterapia e per quanto sia comprensibile e fruibile non può sostituirsi ad un percorso vero e proprio.
L’ACT è un modello di trattamento psicoterapeutico che ha dato prova di efficacia e che pertanto si sta diffondendo ampiamente. I principi cardine di questa terapia risultano semplici e intuitivi ma lavorare su di sé per aumentare la flessibilità psicologica non è così semplice come sembra, soprattutto se si soffre di un disturbo psicologico.
Solitamente consiglio questo manuale o come testo introduttivo per avvicinarsi a questo tipo di terapia per un possibile percorso futuro o come promemoria a seguito di un percorso già concluso. Per chi fosse interessato quindi all’ACT, lo invito a prendere contatti con un professionista formato su questo tipo di trattamento in modo che possa essere guidato e sostenuto nella sua applicazione.
Per qualsiasi altra informazione sull’ACT o contatto resto a vostra disposizione e voi, come sempre, RESTATE CONNESSI!!!
Ciao a tutti, ancora una volta torno a parlarvi di emozioni perché credo sia un argomento che tocca tutti. Oggi vorrei concentrarmi sul motivo per cui spesso ingaggiamo una vera e propria lotta contro le nostre emozioni e sugli esiti di questa lotta.
Innanzitutto vi ricordo cosa sono le emozioni: un processo che coinvolge l’intero nostro organismo e che comprende diversi aspetti dall’espressione facciale, alle sensazioni corporee, all’impulso all’azione e alla valutazione cognitiva. In relazione alle sensazioni fisiche molte emozioni assumono un tono edonico negativo ovvero vengono percepite come spiacevoli, sgradevoli o fastidiose da provare. Per esempio le persone che provano ansia trovano sgradevoli le sensazioni come la fame d’aria, il senso di oppressione al petto o la confusione mentale, le persone che provano tristezza si sentono stanche, prive di energie e interessi e non vorrebbero sentirsi così, le persone che provano vergogna non vorrebbero sentire il rossore che avvampa sul loro volto. Quindi uno dei motivi per cui le persone tollerano poco le loro emozioni è il tono edonico negativo.
Un altro motivo sono alcune credenze o convinzioni diffuse sulle emozioni di cui ho già parlato in un mio passato articolo. Ne riporto qualcuna tra le più consuete: “Non dovresti provare certe emozioni”; “Provare certe emozioni è segno di debolezza”, “Dovresti saper controllare le tue emozioni”, “Se provi certe emozioni hai qualcosa che non va”, “Dovresti cercare di sbarazzarti delle emozioni negative”. Questi miti sulle emozioni sono molto diffusi, chi non si è mai trovato a pensare una di queste frasi alzi la mano!
Di conseguenza, un po’ perché certe emozioni sono spiacevoli da provare, un po’ per come si considerano o addirittura giudicano le emozioni, spesso le persone ingaggiano una vera e propria lotta contro di esse in modo da controllarle, bloccarle, ridurle o eliminarle del tutto. Usano qualsiasi mezzo per riuscirci, dalla semplice distrazione o cercare di pensare positivo a sistemi che possono risultare dannosi per la salute, come bere, abbuffarsi, assumere sostanze.
Vorrei poter chiedere a chi ha letto fino a qui questo articolo, se ha mai tentato di controllare le sue emozioni in qualche modo e con quale esito. Mi piacerebbe leggere i vostri commenti in proposito ma intanto provo a rispondere io per la mia esperienza di vita e professionale.
In genere la risposta è del tipo: “Sì ci ho provato e per un po’ di tempo sembrava funzionare ma poi le emozioni sono tornate anche più intense e frequenti di prima”.
Quel che succede di solito quando si lotta contro le proprie emozioni è il cosiddetto effetto paradosso, ovvero più cerco di bloccare, inibire, eliminare le emozioni più queste si presentano più forti e più spesso di prima.
L’effetto paradosso è semplice, più cerco di contrastare un’emozione, più ci sto pensando e più ci penso, più in realtà intensifico quella emozione.
Inoltre si tende a non considerare che le nostre emozioni sono l’espressione del nostro patrimonio genetico, perlomeno le emozioni base sono innate e universali quindi è assurdo pensare di poterle eliminare o anche solo controllare.
Per chi fosse interessato, sappiate che esistono tante tecniche che aiutano ad accettare, comprendere e tollerare le emozioni anche quelle più intense e sgradevoli ma si può imparare a fare tutto questo anche solo partendo da una semplice considerazione. Ricordare che le emozioni, tutte le emozioni, hanno una funzione ossia esistono e le proviamo per un motivo. In generale tutte le emozioni hanno la funzione di aiutarci a capire cosa ci succede e a guidare il nostro comportamento. Se cominciamo a vederle in questa veste, come preziose alleate nella nostra vita allora forse rinunceremo alla lotta contro di loro.
Vi invito quindi a scoprire quale può essere la funzione di ogni emozione che provate e vi raccomando….restate connessi!
Oggi niente articoli “didattici” su qualche argomento di
psicologia come faccio di solito ma vorrei condividere con voi solo qualche
riflessione che mi è capitata di fare qualche giorno fa.
Sono una psicologa “itinerante”. Chi di voi mi conosce, sa
che lavoro su due città (in passato anche su 3 e 4), Padova e Verona e quindi
mi capita di passare molto tempo in macchina. L’altro giorno mi trovavo appunto
sull’A4 tra Verona e Padova quando alla
radio ho sentito la canzone “Mi fido di te” di Jovanotti.In particolare la mia mente si è soffermata su questa verso: “La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare. Mi fido di te. Mi fido di te. Mi fido di te. Cosa sei disposto a perdere?”Su questa frase mi è partito un trip di pensieri che, per palese deformazione professionale, ho accostato al mio lavoro e visto che riguardava concetti di psicologia che possono essere utili a tutti, ho pensato di condividerli con voi.
Per ogni frase di
questo verso ho fatto delle considerazioni diverse ma che rientrano tutte nel
tema: come si può affrontare l’ansia?
Prendiamo la prima frase: “La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare”.Non ho inteso questa frase in senso letterale quindi non parlerò delle vertigini come sintomo fisico. In questa frase ci ho visto un altro significato, ossia la possibilità che abbiamo tutti di vedere le cose da un altro punto di vista. Non avete idea di quanto sia importante nel trattamento dell’ansia aiutare le persone a sviluppare un pensiero alternativo rispetto alle proprie convinzioni. E’ un aspetto molto importante uscire dal proprio punto di vista e prendere in considerazione altre possibilità. Se si sviluppa questa capacità è possibile interpretare anche ciò che ci fa più paura in modo diverso e forse meno ansiogeno. Così anche la “vertigine” che rappresenta qualcosa che solitamente fa molta paura può essere interpretata invece come una spinta a buttarsi nelle cose, a correre il rischio. Correre il rischio……..ecco un altro concetto chiave quando si tratta l’ansia ma ve ne parlo più tardi.
Passiamo alla seconda frase: “Mi fido di te”.Del tema della fiducia nella mia professione vi avevo già parlato in quel ciclo di articoli su chi è e cosa fa lo psicologo. Se avete voglia potete andare a rileggerli. In ogni caso confermo il concetto che è importante per il paziente fare un atto di fiducia verso lo psicologo a cui si è rivolto, confidando nel fatto che lo possa aiutare. E’ giusto e opportuno verificare che il professionista in questione abbia tutte le carte in regola, laurea, abilitazione ed eventuale specializzazione ma bisogna tener conto che spesso un percorso terapeutico richiede tempo e che i risultati quindi non possono essere immediati. Per questo motivo si tratta di fare, per un certo tempo, atto di fiducia verso chi si è impegnato ad aiutare. Si tratta di affidarsi allo psicologo esattamente come ci si affida ad un medico, essendo convinti che si potrà ricevere un aiuto e che col tempo si risolverà il proprio problema.
Anche la fiducia comporta però un quota di rischio e così
arrivo all’ultima parte del verso di Jovanotti: “Cosa sei disposto a perdere?”Il rischio è proprio questo, avere la consapevolezza che si
può perdere qualcosa. Uno dei grandi
problemi delle persone ansiose è che non sono disponibili ad accettare neanche
una percentuale minima di rischio. L’ansia aumenta anche per questo motivo.
Se non si accetta nemmeno una quota di
rischio di sbagliare, di perdere, di soffrire restano solo due possibilità: evitare di esporsi a qualsiasi
rischio oppure cercare di controllare
tutto. Nel primo caso se non esporsi al rischio abbassa l’ansia ma
probabilmente si perdono tante occasioni come ad esempio avere una relazione
sentimentale, fare carriera, superare un esame e così via. I grandi scopi della
nostra vita ma anche i piccoli obiettivi, insomma tutto ciò che possiamo
desiderare o di cui abbiamo bisogno comprendono sempre la possibilità di non
riuscirci. Nel secondo caso si tende a controllare tutto non rendendosi conto
del dispendio di tempo ed energie che ciò comporta e soprattutto del fatto che
non è possibile controllare tutto. E’ un tentativo fallimentare in partenza.
Oltre all’ansia di riuscire a controllare tutto poi si aggiunge la delusione di
non esserci riusciti e di nuovo si perde ciò che si era desiderato.
Compito dello
psicologo è aiutare le persone ansiose quindi ad accettare almeno una quota
minima di rischio in ogni cosa che vorrebbero fare o ottenere. Si tratta di trovare un equilibrio tra il
buttarsi confidando nelle proprie capacità e accettare i propri limiti, la
propria vulnerabilità e fallacità.
Quante cose ancora mi verrebbe da aggiungere su questo argomento ma mi rendo conto che ho scritto già tanto e vi sarò venuta anche a noia per cui per oggi mi fermo qui e magari riprenderò il discorso un’altra volta. Ho già in mente un’altra canzone su questo tema. A presto dunque e se volete commentare o fare domande non esitate!