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Centro di Psicoterapia Scaligero

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Pregiudizio 5: Nessuno può capire il mio dolore!

Pubblicato il Novembre 7, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Per la rassegna “sfatiamo vecchi pregiudizi” siamo arrivati ad uno che mi preme davvero molto: “nessuno può capire il mio dolore!”. Ci tengo molto a discutere questa credenza perché non farlo significherebbe dire a tante persone che soffrono o che hanno un problema che non si può far nulla per loro, che non è possibile aiutarle e questo oltre che falso sarebbe dannoso.

Sarebbe utile sapere da voi pubblico quali sono i motivi che portano ad una simile credenza. Forse non si è trovato qualcuno veramente capace di ascoltare o aiutare o forse si crede di avere un problema troppo grande o irrisolvibile. Io vi posso raccontare un episodio che mi è capitato durante una serata pubblica in cui parlavo di ansia e panico. Una persona tra il pubblico mi ha informato di essere affetto da attacchi di panico da molto tempo e mi ha chiesto se io avessi mai sofferto di attacchi di panico. Prima di rispondere ho chiesto come mail volesse avere questa informazione da me e la sua risposta è stata: “Perché se lei non ha sofferto di attacchi di panico, non può capire davvero come mi sento e non può sapere come aiutarmi!”

E’ stata sicuramente un’affermazione forte ed ho ritenuto fondamentale andare a fondo della questione. In prima battuta ho replicato così: “Quindi secondo il suo ragionamento io dovrei aver sofferto di tutti i disturbi mentali conosciuti per poter comprendere i miei pazienti ed esercitare bene la mia professione?”. Che ciò sta a dire che solo chi ha avuto esperienza diretta di un certo problema sa come risolverlo. Poi ho aggiunto: “Se questo è il suo pensiero allora dovrebbe chiedere ad un medico se ha sofferto di tutte le malattie presenti al mondo, dall’influenza al tumore, perché solo così saprebbe come curare le persone”. Ma è possibile una cosa del genere? Facciamo ai professionisti (non psicologi) a cui ci rivolgiamo questo tipo di domande prima di affidarci a loro? Ovviamente no! Di solito quando si decide di rivolgersi ad un professionista si cercano informazioni sulla sua formazione, sulla sua esperienza lavorativa in un certo campo e sul parere dei suoi assistiti.

Perché invece per la categoria psicologi questo non basta? Perché le persone si aspettano qualcosa di più? Credo che la questione stia tutta nella fiducia. Probabilmente ci sono ancora persone che hanno poca fiducia nella professione dello psicologo per timore o per scarsa informazione. In uno dei primi articoli ho spiegato quanto ancora ci sia da fare da parte della categoria per farsi conoscere e apprezzare come una reale possibilità di aiuto o di miglioramento delle condizioni di vita. Però credo serva anche un piccolo atto di fiducia da parte del pubblico, un provare a mettere in discussione le proprie idee e mettersi in gioco, esattamente come si farebbe se ci si dovesse rivolgere ad un nuovo dentista o idraulico o avvocato. In questi casi di solito ti informi se è bravo, da quanto lavora, quanto chiede, se i tuoi amici si sono trovati bene con lui e poi lo chiami e fissi un appuntamento. E se poi non si rivelasse all’altezza delle aspettative ne chiameresti un altro. Perché non fare la stessa cosa anche quando si deve scegliere uno psicologo? Di solito le persone che mi hanno contattato hanno fatto proprio così. Per concludere il discorso sulla fiducia vi racconto come si è conclusa la discussione con la persona di cui sopra. Alla fine ho risposto alla sua domanda e ho raccontato a tutto il pubblico in sala che effettivamente per un certo periodo della mia vita ho sofferto di attacchi di panico e che quindi potevo esattamente comprendere come si sentiva. D’altronde noi psicologi siamo esseri umani e pertanto non siamo esenti da momenti di difficoltà. Quando è successo mi sono rivolta anch’io ad un collega per farmi aiutare. Ho spiegato quindi al mio interlocutore che, sebbene io possa comprendere molto bene come si sentono le persone ansiose, questo fatto non mi rende necessariamente migliore di tanti altri miei colleghi che l’ansia non l’hanno mai avuta, perché le cose che contano nel nostro lavoro sono la preparazione, l’esperienza, l’empatia, la capacità di ascolto e tante tante altre cose che adesso non mi dilungo ad elencare. (Siccome l’empatia credo sia una capacità fondamentale per gli psicologi, sabato scriverò un approfondimento su questo tema.)

Ora vi saluto con un paio di domande: “Secondo voi il mio interlocutore si è sentito rassicurato dal fatto che io avessi sofferto di attacchi di panico come lui e quindi potessi capirlo? Secondo voi ha preso poi contatti con me per farsi aiutare?” Vediamo chi ha voglia di rispondere a questi miei quesiti. Nel frattempo vi auguro buona serata e ci sentiamo presto su questa “rete”.

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Pregiudizio 3: lo psicologo potrebbe manipolare la mia mente!

Pubblicato il Ottobre 17, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

In questo articolo vi svelerò i segreti del mestiere. Scopriamo insieme se e come uno psicologo può manipolare la mente delle persone.

In realtà questo pregiudizio mi sembra alquanto superato. E’ passato molto tempo da quando ho sentito una frase del genere. Nei pochi casi in cui mi è stata rivolta, magari anche solo come battuta, ho sempre posto questa domanda: “Secondo te come posso fare a manipolare la mente delle persone?” Di solito le persone danno risposte molto vaghe del tipo “Eh… che ne so io come fai? Tu sai i trucchi del tuo mestiere!” oppure “Magari mi ipnotizzi e mi fai fare quello che vuoi!”

Bene, sveliamo allora i trucchi del mestiere, sono convinta che informare, spiegare, comunicare il più possibile sulla professione dello psicologo sia molto importante per superare dubbi e timori.

Che modi può avere uno psicologo per manipolare la mente delle persone?

  1. Non può usare dei farmaci perché non è un medico e quindi non è abilitato a prescriverli e somministrarli.
  2. Per la mia specifica formazione non utilizzo l’ipnosi come tecnica terapeutica, ma so che serve una formazione specifica per poterla utilizzare e che non tutti gli psicoterapeuti la praticano. Alcune persone credono consista in una perdita di coscienza, dove il terapeuta può controllare la mente del paziente ma non è così. Si tratta di un’esperienza di trance in cui non può venire modificata la personalità, la volontà e i principi morali della persona che si sottopone a questa pratica.
  3. La parola, il colloquio, questo sì è il mezzo utilizzato dagli psicologi e psicoterapeuti per svolgere il proprio lavoro. Il colloquio in psicologia è uno strumento di conoscenza che utilizza la comunicazione allo scopo di raccogliere informazioni con fini di ricerca, di diagnosi o di presa in carico per un determinato trattamento. Il colloquio tra uno psicologo e colui che lo consulta può avvenire solo se c’è una motivazione e un interesse autentico da parte di entrambi. Se una persona ha paura di essere manipolata mentalmente da uno psicologo non credo che chieda un colloquio. Chi invece ha provato questa esperienza penso possa rivelare di cosa si tratta ed essere più convincente di me nel spiegarlo, visto che io sono di parte.

Insomma credo davvero che si tratti solo di suggestioni, fantasie o chiacchiere poco attinenti con la realtà. Le persone che si rivolgono agli psicologi e si sottopongono a delle sedute o a percorsi di psicoterapia sono in continuo aumento ma di solito per motivi di privacy non raccontano la loro esperienza. Io però le inviterei tutte a descrivere come si è svolto il loro colloquio, senza entrare nello specifico dei motivi che le hanno portate a chiedere un consulto. Sono convinta che i loro racconti sarebbero molto più chiarificatori e istruttivi delle mie parole. Perché quindi non provarci? Potete usare anche questo spazio per raccontarvi, ne sarei felice. Buona giornata a tutti.

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Pregiudizio 2: lo psicologo è per i deboli e io posso farcela da solo!

Pubblicato il Ottobre 15, 2018 da michela pinton
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10 pregiudizi psicologo

Ma funziona davvero così? Davvero riusciamo a cavarcela da soli quando abbiamo un problema psicologico? In questo articolo proverò a sviscerare il secondo pregiudizio in elenco analizzando pro e contro del tentativo di risolvere un problema di questa natura da soli.

E’ sicuramente vero che ognuno di noi è cresciuto con l’insegnamento che nella vita bisogna imparare a risolvere i problemi da soli, con le proprie capacità, con i propri mezzi. Ma è altrettanto vero che dove non siamo in grado di far da soli possiamo chiedere aiuto a chi ci sta vicino o a chi è più esperto di noi. Facciamo degli esempi: se al lavoro il tuo capo ti dice che devi imparare ad usare un nuovo programma del pc, tu magari provi a fare l’autodidatta consultando il manuale ma se alla fine non ci riesci, magari chiedi aiuto ad un tuo collega oppure segui un corso per imparare ad usare quel nuovo sistema; se per caso ti senti poco bene puoi provare a curarti da solo dando fondo a tutte le medicine che hai in casa o chiedendo alla mamma qualche rimedio magico ma se il malessere continua poi vai dal medico. E per aggiungere un dettaglio…… “Di solito non aspetti mesi o anni per andare dal medico, vero?” Quindi nella realtà dei fatti noi cerchiamo di risolvere i nostri problemi autonomamente fin dove riusciamo, oltre, giustamente, chiediamo aiuto.

Secondo voi succede così anche quando il problema è di natura psicologica? Voi come vi comportate in questi casi? Posso dirvi che per la mia esperienza, le cose non vanno allo stesso modo per diversi motivi.

  1. A volte le persone non si rendono conto di aver a che fare con un problema di natura psicologica, ma credono si tratti magari di una malattia (come ad esempio una persona ansiosa che pensa di avere un attacco cardiaco) o di un problema pratico (come decidere se lasciare il vecchio lavoro per uno nuovo o restare).
  2. A volte le persone non sanno riconoscere in tempo segni e sintomi dell’esordio di un problema psicologico e se ne rendono conto solo quando il disturbo è diventato grave e molto invalidante per la loro vita.
  3. A volte le persone credono che ci si rivolge allo psicologo solo per curare patologie gravi e non sanno che invece lo psicologo può semplicemente aiutare per piccoli problemi quotidiani o promuovere il benessere personale. Per capire meglio potete rileggere l’articolo sul pregiudizio n.1.

Ma l’argomentazione più bella di tutte che di solito sento dire è: “il tempo risolve ogni cosa!” Non ho mai sentito una c…ata più grande di questa. Chi ci crede veramente dovrebbe spiegarmi come fa il tempo a risolvere i problemi e dirmi perché con me non l’ha mai fatto??? Gli sto forse antipatica?! Sempre nella mia piccola esperienza quello che vedo è che più passa il tempo e più le cose si complicano e spero di dimostrarvi perché succede questo. Quando le persone hanno un problema psicologico di solito tentano delle soluzioni fai da te oppure cercano di accantonare il problema nella speranza che magicamente col tempo sparisca da solo. Che sia chiaro, non giudico assolutamente le scelte delle persone anzi cerco di capirle, tanto è vero che indago a fondo tutto ciò che hanno tentato di fare per risolvere il loro problema. Credo che a molti manchino le conoscenze sufficienti per affrontare un problema di natura psicologica e che non si rendano conto che le soluzioni che adottano peggiorino il problema invece che risolverlo. Vi ricordate l’assunto base della psicoterapia cognitivo comportamentale? I problemi emotivi e comportamentali sono in gran parte il prodotto di credenze disfunzionali che si mantengono nel tempo, nonostante la sofferenza che provocano al paziente. In sostanza un certo modo di pensare e di agire può influire negativamente sullo stato emotivo ma nonostante questo non si è capaci di cambiarlo. Il passare del tempo non aiuta perché pensieri ed azioni restano le stesse. Col tempo aumenta solo la sofferenza perché si resta impigliati in un circolo vizioso da cui non si trova modo di uscire.

Faccio un esempio per chiarire meglio questo concetto. Una persona in un momento di stress potrebbe percepire un po’ di tachicardia. Se la persona pensa di avere un infarto, si preoccuperà ancora di più e i sintomi peggioreranno. Se dopo i dovuti controlli medici, tutti negativi, continua a credere che ogni volta che il suo cuore accelera potrebbe avere un infarto, col tempo starà sempre peggio perché la sua preoccupazione non cambierà. Se poi la stessa persona decide di non fare più il suo sport preferito, di non impegnarsi in attività troppo faticose o addirittura di non uscire più di casa per paura di avere un infarto, il suo problema peggiorerà sempre di più.

Con queste mie parole spero quindi che riconsidererete la funzione dello psicologo, che può essere di aiuto anche per piccoli problemi, per migliorare la nostra vita o anche solo per capire come funziona la nostra mente. Vi lascio con questo spunto di riflessione e ci risentiamo per parlare di un altro pregiudizio.

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Similitudini e differenze tra la TCC per adulti e per bambini/adolscenti.

Pubblicato il Ottobre 10, 2018 da michela pinton
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psicologia dell'infanzia

In un precedente articolo ho spiegato a grandi linee in cosa consiste la psicoterapia cognitivo comportamentale (TCC). Oggi vorrei entrare nello specifico dell’applicazione di questa terapia nella fascia d’età dello sviluppo, da 0 a 18 anni, delineando similitudini e differenze.

Vi ricordate quando ho parlato delle difficoltà di riconoscere un problema psicologico in un bambino/adolescente e come fare per superarle? Se dopo attenta osservazione siete giunti alla conclusione che vostro figlio o nipote o allievo sta manifestando i segni di un problema di natura psicologica, i passaggi da mettere in atto sono quelli elencati nell’articolo “Che differenza c’è tra uno psicologo per gli adulti e uno per bambini/adolescenti”.  Si tratta quindi i fissare un primo colloquio con uno psicologo/psicoterapeuta, di sottoporre il minore ad una valutazione diagnostica, esattamente come farebbe un medico se si trattasse di un problema organico e di condividere col professionista l’esito della valutazione. Nell’incontro di restituzione lo psicologo/psicoterapeuta non solo formula una diagnosi, cioè spiega se si è in presenza di un disturbo o di un problema transitorio e quale, ma indica anche il possibile percorso da seguire per risolvere il problema. A questo punto quindi si entra nella fase di terapia vera e propria. La TCC per l’età evolutiva presenta similitudini e differenze rispetto alla TCC per gli adulti. Vediamo quali.

Similitudini:

  1. Gli assunti della psicoterapia cognitivo comportamentale per l’infanzia/adolescenza sono gli stessi che per gli adulti: pensieri, emozioni e comportamenti sono connessi tra loro in modo complesso e i problemi emotivi e comportamentali sono in gran parte il prodotto di credenze disfunzionali che si mantengono nel tempo, nonostante la sofferenza che provocano.
  2. Gli obiettivi della psicoterapia cognitivo comportamentale sono gli stessi: individuare la presenza di credenze e schemi di pensiero disfunzionali e successivamente aiutare il paziente a modificarli o integrarli con altri più funzionali per ottenere una remissione dei sintomi e promuovere il suo benessere personale.
  3. Le tecniche terapeutiche sono le stesse: si aiuta il paziente ad apprendere nuove modalità di risposta alle situazioni che si trova a vivere (terapia comportamentale) e a correggere o integrare i propri pensieri con altri più realistici e funzionali al suo benessere (terapia cognitiva).

Ma se assunti, obiettivi e tecniche sono gli stessi allora cosa c’è di diverso?

Differenze:

  1. La definizione dei disturbi psichici in età evolutiva è decisamente più complessa che per l’età adulta a causa dell’influenza di innumerevoli Infatti oltre ai fattori come le caratteristiche dell’individuo (caratteristiche biologiche, funzioni metacognitive, temperamento), gli aspetti sociali e culturali, di cui si tiene conto per l’età adulta, vi sono altri fattori da considerare come le trasformazioni maturative (organizzazione comportamentale, emotiva e cognitiva che non sono ancora definite e stabilizzate) e le caratteristiche familiari (relazione tra i genitori, relazione di attaccamento tra bambino e genitori, caratteristiche delle famiglie d’origine).
  2. Questa multifattorialità fa sì che un intervento settoriale come può essere la TCC individuale risulti poco efficace soprattutto a lungo termine. La presenza di più fattori favorisce invece lo sviluppo di modelli di trattamento di tipo multidimensionale quando sono rivolti all’età dello sviluppo. In questi trattamenti si cerca di integrare vari approcci terapeutici che si sono dimostrati efficaci e di promuovere un trattamento estensivo e periodicamente monitorato su più fronti, ovvero sul bambino/adolescente, sulla famiglia e sui contesti di vita più significativi per il minore come la scuola. L’intervento terapeutico multimodale, mirato non solo sul bambino/ragazzo ma anche sui genitori e se possibile su altri contesti (famigliare e/o scolastico) è quello che dà maggiori risultati in termini di riduzione dei sintomi.
  3. Un percorso terapeutico per un bambino/adolescente può essere condotto solo da uno psicoterapeuta specializzato, meglio ancora se esperto nel trattamento di questa fascia d’età. In alcuni casi può essere necessario anche combinare la psicoterapia con la terapia farmacologica, che però deve essere seguita da un neuropsichiatra infantile o psichiatra. Della farmacoterapia nell’età dello sviluppo scriverò in modo più approfondito più avanti.

Come sempre se avete domande o riflessioni da fare, postate pure. Nel frattempo auguro a tutti buona giornata.

Pubblicato in adolescente, bambini, età evolutiva, genitori, infanzia e adolescenza, insegnanti, psicologia, psicologo, psicopatologia dello sviluppo, psicoterapeuta, psicoterapia cognitiva | Contrassegnato adolescenti, bambini, psicoterapia cognitivo comportamentale | 2 Risposte

7 MOTIVI PER CUI E’ DIFFICILE INDIVIDUARE UN PROBLEMA PSICOLOGICO NEL BAMBINO/ADOLESCENTE.

Pubblicato il Ottobre 3, 2018 da michela pinton
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psicoterapia individuale infanzia

Caro lettore, se sei un genitore o un insegnante o qualcuno che comunque ha a che fare con bambini/adolescenti, forse ti sarà capitato di chiederti “Come si fa a capire se un bambino/adolescente ha un problema psicologico?” Ma come mai ti sei posto questa domanda? Vediamo insieme alcuni motivi che ostacolano la possibilità di comprendere se siamo in presenza di una psicopatologia del minore.

Facciamo un passo indietro. Se ti sei posto la domanda di cui sopra, magari è successo perché tuo figlio o un tuo alunno ha avuto un problema di questo tipo, magari è passato del tempo prima che tu te ne accorgessi, magari è successo a qualcuno che conosci e semplicemente ti domandi se tu saresti in grado di riconoscere i segni. Qualunque sia il motivo per cui ti sei fatto questa domanda, ciò che salta all’occhio è la difficoltà degli adulti ad individuare e comprendere i segni precursori di un disturbo mentale nell’età dello sviluppo. Spesso mi capita d’incontrare genitori del tutto inconsapevoli delle difficoltà del figlio che arrivano in terapia su segnalazione della scuola oppure dopo lungo tempo quando il problema è diventato grave e persistente. Questo non significa che siano persone insensibili o incapaci anzi, tanto è vero che spesso si sentono molto responsabili di non essersi attivati per tempo. E’ più probabile che si tratti di persone poco informate su certi argomenti e che non siano a conoscenza di alcuni aspetti che caratterizzano la psicopatologia dell’età evolutiva.

Con questo breve elenco spero di sollevare un po’ gli adulti da dubbi e timori sulla possibilità di accorgersi di un problema di tipo psicologico in un minore e di dare qualche dritta rispetto a ciò che si può osservare.

Cerchiamo di ricordare sempre che:

  1. Solo alcuni disturbi sono palesemente manifestati dai bambini, come ad esempio i disturbi del comportamento, mentre altri, che appartengono ad una sfera più intima, come ad esempio di disturbi d’ansia, sono più difficili da rilevare;
  2. Solo a partire da una certa età, di solito dai 6/7 anni in su, i bambini riescono a comunicare il proprio disagio psicologico perché solo a partire da quell’età hanno raggiunto una certa maturità cognitiva, emotiva e determinate competenze nella relazione e comunicazione;
  3. In età infantile/adolescenza segni e sintomi possono essere comuni a più patologie oppure una stessa patologia può avere segni e sintomi anche molto diversi;
  4. Durante lo sviluppo gli individui subiscono forti trasformazioni e non sempre sono sintomo di un problema o di una patologia ma si tratta semplicemente di cambiamenti transitori. Per questo motivo è importante tenere sempre presente il funzionamento generale e le capacità di adattamento del soggetto;
  5. Visto che la richiesta di aiuto ad uno psicologo/psicoterapeuta proviene dagli adulti di riferimento del minore, dipende in parte dalla loro capacità di interpretare i segni di sofferenza e questa capacità è condizionata dalle loro caratteristiche (ad esempio essere un genitore ansioso e iperprotettivo o meno) e dal tipo di rapporto col minore;
  6. Esistono pochi strumenti standardizzati per far diagnosi e spesso non sono di tipo descrittivo ma si basano sull’interpretazione del professionista;
  7. Ciò che è osservabile è il comportamento. E’ possibile osservare se ci sono dei cambiamenti nel comportamento e nelle abitudini dei bambini/adolescenti e cercare di capire a cosa possono essere dovuti. Non si parla di cambiamenti di qualche giorno ma di comportamenti insoliti che si protraggono a lungo nel tempo, con una certa frequenza e intensità. Se tali cambiamenti non possono essere ricondotti a motivi fisici come ad esempio una malattia o all’assunzione di farmaci, allora può essere utile sondare la presenza di un disagio di tipo psicologico.

Con questo vademecum, se dopo attenta osservazione, credete che un bambino/adolescente vicino a voi abbia un problema di tipo psicologico allora è importante rivolgersi nel più breve tempo possibile ad un professionista perché nell’età dello sviluppo prima si interviene più alte sono le probabilità di remissione dei sintomi e più breve è il tempo di guarigione.

Nel prossimo articolo parleremo proprio di questo, ossia della psicoterapia cognitivo comportamentale per l’età evolutiva. Se nel frattempo avete domande o commenti, postate pure. A presto.

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Che differenze ci sono tra uno psicologo per l’adulto e uno per l’infanzia/adolescenza?

Pubblicato il Settembre 26, 2018 da michela pinton
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psicoterapia infanzia e adolescenza

Quando un genitore mi contatta per un problema del figlio molto spesso mi vengano poste domande del tipo: “Dobbiamo venire entrambi i genitori? Cosa dobbiamo dire al bambino per convincerlo a venire? Alla fine della seduta mi dice che cosa ha mio figlio?….” Queste domande mi portano a credere che vi sia una scarsa conoscenza sugli psicologi/psicoterapeuti che si occupano di infanzia e adolescenza e, se posso, vorrei chiarire qualche dubbio e colmare qualche lacuna.

In questo articolo vorrei parlare dello psicologo/psicoterapeuta che si occupanello specifico di infanzia e adolescenza. Qualcuno potrebbe pensare che non ci sia alcuna differenza con lo psicologo che si occupa di persone adulte ma in realtà non è così. Vi faccio un solo esempio per farvi capire che differenza c’è tra un adulto che va dallo psicologo e un bambino/ragazzo. Un adulto sceglie di rivolgersi ad uno psicologo perché si rende conto di avere un problema e di dover chiedere aiuto perché da solo non ce la fa a risolverlo. Un bambino viene portato dallo psicologo dai suoi genitori perché credono che abbia un problema. L’adulto sa di aver un problema e vuole occuparsene, avendo più o meno idea di cosa andrà incontro. Il bambino non sempre è consapevole di avere un problema, non sempre è disponibile a risolverlo (a volte è solo costretto dai genitori) e spesso non ha idea di chi sia lo psicologo e cosa faccia. Potete immaginare quanto possa cambiare quindi l’approccio di uno psicologo a seconda di chi si trova davanti? Nel caso di un bambino/ragazzo è fondamentale spiegargli chi si è, cosa si fa, in che modo e per quanto tempo. E’ importante creare per lui un ambiente accogliente e sereno. E’ importante parlargli con chiarezza e semplicità e soprattutto è fondamentale prendersi tutto il tempo necessario per farsi conoscere e per costruire con lui una relazione di fiducia. Insomma il bambino/ragazzo te lo devi conquistare e non è semplice. Non sto dicendo che tutti gli ingredienti appena elencati non servano anche con gli adulti, anzi, solo che con i minori bisogna dedicarci più tempo ed attenzione proprio perché non si affidano a te volontariamente né lo fanno sin dal primo momento.

In testa all’articolo ho elencato alcune delle domande che mi vengono poste e credo di riuscire a rispondere spiegando brevemente quali sono solitamente i passaggi per la presa incarico di un minore da parte uno psicologo/psicoterapeuta.

  1. PRIMO COLLOQUIO = A questo colloquio dovrebbero partecipare entrambi i genitori a meno che non vi siano gravi impedimenti (un genitore deceduto o all’estero o privo di tutela legale…). Se i genitori sono separati o divorziati devono trovare il modo di essere concordi e presenti entrambi. Uno psicologo non può vedere o occuparsi di un minore senza il consenso di entrambi i genitori. In questo primo colloquio si raccolgono informazioni sul bambino/ragazzo e sul problema che manifesta. Attenzione!!! Se si tratta di un adolescente, deve essere presente e coinvolto sin dalla prima seduta. Un adolescente sta sviluppando la sua identità, il suo pensiero e comincia a fare le sue scelte, quindi deve essere messo a parte di qualsiasi scelta lo riguardi o ne risentirà l’alleanza con lo psicologo e la motivazione a partecipare alle sedute.
  2. COLLOQUI DI VALUTAZIONE = Possono essere da 2 a più sedute, dipende dalla metodologia dello psicologo e dalla gravità del problema presentato. Per esempio io mi riservo 4 o 5 sedute per inquadrare bene il caso. Queste sedute si basano principalmente sul colloquio psicologico ma possono anche essere somministrati dei test. Lo scopo di queste sedute è la valutazione diagnostica ossia definire se si è in presenza o meno di un disturbo mentale e quali sono gli elementi che lo caratterizzano. Attenzione!!! Con bambini troppo piccoli non è possibile condurre un colloquio perché non hanno ancora sviluppato adeguate competenze cognitive, emotive e linguistiche. La mia regole è di non fare colloqui a bambini sotto i 7-8 anni. Nel caso di bambini sotto questa età può tornare molto utile l’osservazione del bambino nel suo ambiente famigliare (casa o scuola).
  3. RESTITUZIONE = Si tratta di un colloquio in cui lo psicologo/psicoterapeuta da un quadro del problema o disturbo rilevato e indica quale strada sia più indicata seguire per risolverlo. Attenzione!!! Non significa che lo psicologo abbia la soluzione al problema e la somministri come una pillola. Uno psicologo/psicoterapeuta valido non dirà mai ad un genitore o a un bambino/ragazzo cosa devono fare ma li accompagnerà nel trovare una soluzione col supporto della sua conoscenza.

L’ultimo passaggio riguarda il percorso terapeutico ma di questa parte vi parlerò in un prossimo articolo. Per il momento spero di aver fugato qualche dubbio. Resto a disposizione per qualsiasi domanda o riflessione. A presto.

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